Non ci poteva esser di meglio per scatenare il clan delle verginelle. Ed è una delle poche ragioni per addossare colpe a Ibrahimovic e Lukaku per quella rissa da Far West, con annesse accuse di razzismo, bullismo, e tutto il peggio dell'essere umano. Niente di meglio di un derby visto da 8 milioni di persone in uno stadio senza pubblico, e microfoni aperti sul campo, per spiegare al mondo cosa sia una partita di calcio.
Il rumore della battaglia non è solo quello dei calci al pallone, degli ululati sulle tribune o di un allenatore che insulta l'arbitro. Il calcio è giocare per il gol, per evitare di prenderne, ma pure tentare di mandare fuori giri gli avversari. I mezzi sono leciti e talvolta illeciti. Urlarsi di tutto, e di peggio, è sempre stato uso e costume. Deprecabile, certo. Forse poco raccontato. Poi c'erano i Facchetti, d'accordo, ma anche i Materazzi che non era certo il peggiore della specie.
Accade in qualunque sport. Provate a chiedere agli atleti della scherma d'antica nobiltà cosa si sente dire in pedana, anche da signore con figli. Il calcio non è il circolo del bridge, ma il gioco dei ragazzi di strada e per strada. Ibra è un bullo che conosce le regole del ghetto, freddo e provocatore, ma difficilmente può esser razzista uno che non è sfuggito all'amaro del sentirsi dire «zingaro» o che assomma il culto di una mamma croata cattolica e di un papà bosniaco musulmano.
Il mondo del pallone, soprattutto oggi, non gioca per sport ma per business. E non è vero che tutto finisce nel rettangolo del campo. Invece è vero che tutto comincia nella terra di tutti, il mondo reale. Basta assistere a partite fra ragazzini. Non ascoltate cosa urlano i genitori o cosa si dicono i piccolini, sennò l'equazione campionicafoni andrebbe a farsi benedire. Senza dimenticare le baraonde in Parlamento o in regione Lombardia, scene che deturpano il senso civico. Invece tutto passa, nessuno addita: una scrollatina di spalle e avanti il prossimo. Non parliamo poi delle liti fra automobilisti.
Ovvio, anche lo sport impone fremiti di coscienza.
Per esempio: non è peggio, rispetto al saloon del derby, sapere di quel Conte furioso che ha atteso l'arbitro, nel sottopassaggio, per fare chissà cosa? Al contrario, Ibra ha rispettato la legge non scritta dei bulli: espulso, non ha fiatato. Quando esageri, paghi. Una scena che insegna qualcosa, ma le verginelle non se ne sono accorte.
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