Verità per Regeni. Ma anche per Luca

Verità per Regeni. Ma anche per Luca

«Se i caschi blu avessero saputo della presenza dell'ambasciatore, sicuramente avrebbero predisposto una sicurezza diversa o non avrebbero autorizzato lo spostamento». Nelle parole di Salvatore Attanasio sono racchiusi i misteri o, più tragicamente, le leggerezze costate la vita al figlio ambasciatore, al carabiniere Vittorio Iacovacci e al loro autista. Leggerezze che hanno come protagonisti i funzionari del Pam (Programma Alimentare Mondiale) da cui dipendevano le procedure di sicurezza. Perché, come spiega il padre di Luca, Attanasio era lì su invito del Pam per «osservare» l'attività di un suo centro e contribuire con il proprio peso istituzionale a «favorirne» l'apertura di un altro. In questo contesto il Pam aveva due interessi confliggenti. Il primo era portare Attanasio a destinazione e farne il testimone istituzionale del proprio operato. Il secondo era garantirne l'incolumità.

Ma allestire un servizio di sicurezza garantito dai «caschi» blu della Monusco mentre era in corso un allerta nella zona degli spostamenti significava ricevere risposte negative. O attenderle troppo a lungo. Un problema risolto omettendo il nome di ambasciatore e carabiniere e dribblando così classificazioni e procedure di sicurezza troppo complesse. Facendolo il Pam ha privilegiato il proprio interesse a detrimento della sicurezza dei propri ospiti. E ha giocato con le vite di tre persone, tra cui quella di un rappresentante dell'Italia. Una condotta resa poi più riprovevole da due aggravanti. La prima è l'utilizzo dell'immunità diplomatica per coprire i propri funzionari da parte di un'agenzia dell'Onu impegnata in aree a rischio. Un utilizzo che equivale a giustificarne la condotta spingendo altri a replicarne le leggerezze.

Il secondo elemento, imperdonabile dal punto di vista umano, è l'omertà di Rocco Leone, l'italiano vice-direttore del Pam, che dopo aver organizzato la missione ed esserne uscito vivo non ha neppure chiamato la famiglia del diplomatico. Una meschinità giuridicamente irrilevante e per la quale Leone fa i conti solo con la propria coscienza, ma da cui si desume il senso di colpa per la disinvolta superficialità in cui si è consumata la tragedia. Ora è chiaro l'Italia non può intervenire fino a chiusura dell'istruttoria affidata alla procura di Roma. Ma se dall'istruttoria emergeranno le responsabilità del Pam allora governo e Farnesina dovranno agire a livello internazionale per ottenere la punizione dei colpevoli. L'unico dubbio è se a premere sull'esecutivo esigendone l'intervento contribuiranno gli stessi attori politici, sociali e mediatici che in questi anni hanno (giustamente) preteso verità e giustizia nei casi di Giulio Regeni e di Patrick Zaki.

Fin qui sul caso Attanasio non hanno speso mezza parola contribuendo al «silenzio tombale» di cui parla papà Salvatore. E spingendoci a sospettare che nella loro classifica di valori e interessi la vita di un ambasciatore e di un carabiniere valgano assai meno.

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