Verso la fiducia al Rosatellum con l'ok di Colle e centrodestra

Il Pd punta alla scorciatoia del voto in Aula per approvare la legge elettorale. Occhetto: "D'Alema è un serial killer"

Verso la fiducia al Rosatellum con l'ok di Colle e centrodestra

È il giorno della verità per la nuova legge elettorale: oggi, subito dopo pranzo, il Rosatellum approda nell'aula di Montecitorio. Forte dei numeri di una larga maggioranza trasversale (Pd, Forza Italia, Lega, Ap ecc.) ma appeso alle incognite dei voti segreti e degli agguati dei franchi tiratori. Per questo cresce di ora in ora l'ipotesi che sulla legge venga posta la questione di fiducia, che risolverebbe alla radice il problema, abbattendo la selva di emendamenti e lasciando in vita un solo scrutinio segreto, quello finale. La decisione toccherà al capo del governo, che dovrebbe riunire il Consiglio dei ministri per farla autorizzare. Ma nel Pd l'ipotesi è fortemente sostenuta: «Altrimenti non ci sarà nessuna legge elettorale, e si andrà al voto con i due moncherini assemblati dalla Consulta», sottolinea un dirigente renziano.

E questo ragionamento, dicono fonti ben informate, è stato fatto sia ai partiti di opposizione che sostengono il Rosatellum che al Quirinale, che non aveva nascosto le sue preoccupazioni per una «forzatura» come la fiducia. Le risposte da parte di Forza Italia e Lega vengono giudicate positive da parte del Pd: certo, i due partiti di centrodestra non voterebbero la fiducia, ma neppure si opporrebbero ad una scelta giudicata puramente «tecnica» e fatta per evitare l'anomalia dei voti segreti sugli emendamenti. E potrebbero valutare se uscire dall'aula. Quanto al Colle, anche Mattarella si sarebbe convinto che, a meno di evitare la raffica di scrutini segreti, il paese non avrà una legge elettorale degna di questo nome. L'incognita si scioglierà nelle prossime ore, e intanto il Pd predispone altre armi per combattere i franchi tiratori: torna in auge il famoso metodo del «canguro», emendamento riassuntivo che serve a far saltare la votazione di emendamenti rischiosi, come quelli per rimettere le preferenze o per introdurre il «voto disgiunto», surreale innovazione secondo cui si può votare il candidato uninominale di uno schieramento e la lista dello schieramento opposto.

La partita del Rosatellum, che si dipanerà tutta in questa settimana, è anche il terreno di una resa dei conti finale tra il Pd e i reduci del Pci che hanno pilotato la scissione di Mdp. In estrema sintesi, tra Matteo Renzi e Massimo D'Alema. Ossia colui che ieri Achille Occhetto, il segretario che cambiò nome al Pci, ha definito «il serial killer», apostrofando con ironia i giornalisti: «Il bello è che le ha sbagliate tutte, ma proprio tutte. E voi ancora gli andate dietro...».

Dopo la rottura con Pisapia, Mdp si prepara ad imbarcare Sinistra italiana di Vendola e Fratoianni e altri gruppuscoli di rivoluzionari da sofà, ma guarda con allarme i sondaggi, che vedono la loro sinistra anti-Pd ondeggiare pericolosamente attorno alla soglia del 3%, senza la quale non si accede al Parlamento. E il Rosatellum, con un terzo di seggi attribuiti nei collegi uninominali (dove Mdp non ha alcuna speranza di farcela) e con la spinta verso il «voto utile» che penalizza le forze minori, costituisce un temibile rischio per le speranze di D'Alema e Bersani di tornare in Parlamento.

Tanto più se si ritroveranno la concorrenza a sinistra di un Pisapia alleato del Pd. Così D'Alema chiama alla «rivolta» i cittadini contro il Rosatellum «ignobile», e attacca l'odiato capo del Pd assicurando che grazie a lui «Berlusconi vincerà le elezioni».

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