Il vino italiano in Cina: la riscossa passa dal web

La piattaforma online Alibaba lancerà la più grande asta su Bacco Un'occasione per vendere a Pechino e attaccare il primato francese

Il vino italiano in Cina: la riscossa passa dal web

Cin cin Cina. Segnatevi questa data: il 9 settembre. Quindi: il 9/9. Ora? Che domanda, le 9! Quel giorno Alibaba, colosso mondiale della vendita online, lancerà la più grande asta mondiale di vino, l'evento che sperano gli esperti dovrebbe lanciare definitivamente il nettare di Bacco, o come lo vogliate chiamare, nel Paese più spaventosamente grande, affollato, misterioso e assetato del mondo: la Cina, appunto.

Già, perché la piattaforma del web commerce dal nome fiabesco (ok, dimenticate l'accostamento ai quaranta ladroni, che non ispira proprio fiducia quando si tratta di business) è di proprietà del cinese col nome da film di arti marziali Jack Ma, uno che insegnava inglese prendendo 20 dollari al mese, e che ora è a capo di un'azienducola che vale 25 miliardi di dollari. Senza se e senza Ma Quel giorno (il nove-nove-nove, e nove vuol dire vino nel Paese più numerologico che compaia sugli atlanti) in quell'asta potrebbero essere smerciati vini per miliardi. Basti dire che nell'ultima vendita per single, l'11/11 alle 11, Alibaba ha piazzato 14 miliardi di merce di ogni genere in poche ore. E i single sono una parte del tutto, anche se generalmente con buona propensione alla spesa. Non solo, il mercato cinese sta per ampliarsi in maniera esponenziale grazie alla nascita quasi dal nulla di una nuova classe media da 500 milioni di persone nel giro di qualche anno. Persone che qualche bicchiere di vino potrebbero anche decidere di concederselo. Magari acquistando la bottiglia con l'e-commerce. Secondo le stime di Forbes nel 2020 in Cina potrebbero esserci 750 milioni di appassionati dell'e-shopping contro i 360 calcolati nel 2014.

E quindi è fondamentale che l'Italia ci sia. Perché malgrado l'Italia sia il primo fornitore di vini nel mondo con un export di 5,4 miliardi nel 2015, in Cina non ha ancora sfondato: qui solo il 5 per cento dei vini venduti è made in Italy, mentre il 55 per cento è made in France. E anche sul web non va meglio. Nella classifica dei 30 vini più venduti su Alibaba (che solo per il vino vanta 90 negozi virtuali) c'è soltanto un'etichetta italiana. E guai a sottovalutare l'e-commerce e soprattutto Alibaba. Che tempo fa fu capace di vendere online cento Maserati in 18 secondi, una ogni battito di ciglia. Figuriamoci se non sarebbe in grado di piazzare un Sassicaia o un Masseto.

Così ieri il premier Matteo Renzi, che è venuto al Vinitaly a beccarsi qualche applauso, molte contestazioni («buffone!» gli hanno gridato) ma anche la non trascurabile soddisfazione di ricevere una bottiglia da tre litri di Sassicaia 1983 (c'è gente che gli insulti li deve annegare nella Coca-Cola Zero), ha incontrato Jack Ma sul palco veronese in compagnia del ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina. La sfida è quella della digitalizzazione del vino. La sfida è anche quella di non restare indietro rispetto all'odiamata Francia: «Quando ho detto al presidente francese Hollande che il nostro vino è più buono, lui mi ha risposto che può anche essere ma il loro lo vendono molto più caro.

E questo è vero anche perché i Francesi sono più bravi a raccontarsi come sistema Paese e a evidenziare le proprie virtù, mentre noi facciamo il contrario. Il mondo ci ama, le persone che parlano peggio dell'Italia sono proprio gli Italiani». Cari cinesi, salvateci voi.

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