Stefano Zurlo
È il 6 novembre 2007. Meredith Kercher è morta da cinque giorni. Amanda Knox, studentessa americana di Seatte, viene portata in questura, a Perugia, e sottoposta ad un lunghissimo interrogatorio. Urla. Minacce. Forse, anche se non è mai stato provato, schiaffoni. Inesorabilmente, la sua posizione scivola: da testimone a indagata. Ma avvocati non se ne vedono, pure se si intuisce che l'arresto è solo questione di tempo. Ora quell'atto giudiziario viziato, quasi un peccato originale dell'inchiesta, si ritorce contro il sistema giudiziario: l'Italia viene condannata dalla Corte di Strasburgo per aver violato i diritti di Amanda. Non fu chiamato un difensore e nessuno ha saputo spiegare e tantomeno giustificare il perchè di quella gravissima mancanza. Inoltre, anche l'interprete che in quella partita difficilissima giocava un ruolo delicatissimo, sarebbe andato oltre il proprio compito.
Insomma, la Knox si trovò in una situazione insostenibile, di sudditanza psicologica. Una circostanza decisiva che aiuta a capire le mille contorsioni e i tanti, troppi colpi di scena di un procedimento travagliatissimo. Un crudele gioco dell'oca che ha sconvolto e diviso l'opinione pubblica internazionale e si è concluso con l'assoluzione della Knox e dell'ex fidanzato Raffaele Sollecito e la condanna, in rito abbreviato, del solo Rudy Guede in concorso con ignoti.
Quel giorno, l'americana cerca di salvarsi da tanta pressione puntando il dito contro il congolese Patrick Lumumba che però' con l'omicidio non c'entra niente e verrà in seguito completamente scagionato da ogni accusa. Per quell'episodio la giovane è stata condannata a 3 anni per calunnia. La pena rimane, naturalmente, ma ora pure lo Stato italiano viene punito per le procedure non ortodosse, anzi scorrette e sleali, utilizzate per far capitolare la ragazza.
La sentenza di Strasburgo è pesantissima: Amanda fu sentita quando erano già state formulate accuse nei suoi confronti, ma nessuno si preoccupò di chiamare un difensore. E il governo italiano non ha «fornito prove per dimostrare che esistessero circostanze eccezionali per giustificare tale assenza e che questa non abbia irrimediabilmente minato l'intera procedura». Qualcosa di simile è accaduto poi con l'interprete che si è spinto troppo in là, in qualche modo come longa manus dell'apparato giudiziario, falsando dunque il match fra accusa e difesa. Un terzo punto contestato è invece caduto: non è provato che Amanda Knox sia stata vittima di maltrattamenti. Di quelle torture psicologiche di cui parlavano i suoi legali.
Per questo l'Italia viene condannata, ma la pena è modesta: un risarcimento di 10.400 euro per i danni morali. Piu altri 8mila per le spese di giustizia: in totale 18 mila euro circa. Dicono che da Seattle Amanda abbia accolto la notizia trattenendo a stento le lacrime: «Spero - le sue parole - che sia l'ultima puntata di questa storia». Lo speriamo tutti. Lei comunque aveva chiesto due milioni e mezzo.
L'incredibile altalena di condanne e assoluzioni inquieta, il susseguirsi vertiginoso di cinque verdetti, che fanno a pugni l'uno con l'altro, lascia sconcertati.
Il «complesso probatorio - scrivono i giudici - era talmente contraddittorio» da trasformare tutta la vicenda in un rebus insolubile. Resta la colpevolezza di Guede, e con quella la certezza che giustizia non è stata fatta. Ora, come se non bastasse, si aggiunge quest'altra reprimenda. Una pagina nera per la nostra magistratura.
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