«È una scelta nel segno della continuità, della stabilità. In questi momenti nessuno ha voglia di avventure, come sarebbe stata la presidenza Le Pen. E così pure gli scontenti di Macron hanno deciso di votarlo per evitare un salto nel buio». Il politologo Alessandro Campi non ha dubbi sul perché del bis di Macron all'Eliseo, in un'Europa spaventata dal conflitto russo-ucraino. Ma avverte. «Potrebbe diventare anche un'indicazione per altri scenari elettorali. In una fase di grande caos, nessuno se la sente di rischiare. Ma occhio a come si chiude la partita. Perché se oggi Macron si conferma presidente, tra un mese c'è l'appuntamento con le legislative, e bisogna vedere come ne uscirà il presidente. Perché potrebbe anche venirne fuori molto indebolito».
Il rischio è una vittoria azzoppata dall'esito delle prossime elezioni?
«Anche l'Europa sta investendo su Macron, sperando sia un leader in grado di prendere in mano la gestione di questa difficile situazione, ma per farlo deve essere forte anche all'interno. E i conflitti che in Francia si sono manifestati in questi anni, espressi nel voto a Le Pen e a Mélenchon, sono solo sopiti. Mélenchon, per esempio, ambisce a fare il primo ministro. Vorrebbe una grande affermazione elettorale per costringere Macron a un accordo politico. Magari non ci riuscirà, ma prima di immaginare che Macron sia fortissimo e possa anche rafforzare l'Europa, aspettiamo. Perché quel passaggio è cruciale».
Quindi la conferma all'Eliseo non basta.
«Ciò che viene fuori dal voto è lo scombussolamento totale delle famiglie politiche, degli orientamenti politici tradizionali. Su Macron c'è stata una convergenza di élite finanziarie e giornalistico-culturali, del ceto borghese alto e medio, ma ci sono anche enormi sacche di scontento che lo accusano di essere un liberal-tecnocrate che sta distruggendo lo stato sociale francese. Macron ha vinto anche per ragioni di congiuntura internazionale, ma le classi popolari gli imputano colpe enormi. E non possiamo immaginare che passata la grande paura di avere la Le Pen all'Eliseo tutto riprenda come prima».
Se questo è il quadro che accompagna la conferma di Macron in Patria, che effetti avrà questa vittoria in Italia?
«Il centrodestra ha chances di vittoria solo unito. Ma con la guerra è successo qualcosa di nuovo che potrebbe rendere irreversibili certe spaccature che prima potevano sembrare ancora componibili. In questo gioco di scomposizione che in Francia è già avvenuto, potrebbe anche accadere che in Italia il centrodestra - come sta accadendo specularmente dall'altra parte, con Pd e M5s che non sembrano trovare un punto di coagulo - non trovi più il modo di ricompattarsi. Dobbiamo valutare la possibilità che si scardini tutto. L'insegnamento che arriva dalla Francia è esattamente questo».
Ad appoggiare Le Pen, in Italia, era stato solo Salvini. Lo smarcamento del leader della Lega non rischia di avere conseguenze anche alle urne?
«Detto che l'unità del centrodestra non è scontata, la questione della leadership del centrodestra per Salvini non ha più senso. A che titolo dovrebbe rivendicarla? Il partito forte, sondaggi alla mano, è Fdi, e la Meloni ha divaricato molto la sua posizione rispetto a quella del Carroccio. Salvini potrebbe valutare di fare una federazione con Forza Italia, ma di questa operazione si è parlato tanto senza mai farne nulla. Insomma, Salvini è leader di se stesso, e ci sono malumori nella Lega, perché un leader che in tre anni non ne azzecca una alla fine pone dei problemi anche rispetto al suo stesso partito».
C'è anche lo spettro dei passati rapporti con Putin.
«È diventata la lettera scarlatta della politica. Chi se la trova appiccicata addosso fatica a liberarsene, e ha immediatamente lo stigma del perdente e dell'inaffidabile. L'alleanza euroatlantica ha trovato un momento di compattamento molto forte, perché ora c'è un nemico.
E chi è considerato simpatizzante di quel nemico non ha chances. Molti hanno avuto rapporti con Putin, ma c'è una enorme differenza tra chi, come Merkel e Berlusconi, lo ha fatto per motivi di realpolitik, e chi per simpatia ideologica, come Salvini».
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