La voce che racconta gli orrori Isis

"Non volete i profughi in Europa? Liberate la Siria dal terrore islamico"

La voce che racconta gli orrori Isis

nostro inviato a Ischia

Alhamza Abdalaziz ha una barba scura, ancora di più sulla camicia bianca. Il suo amico Khader Almuhmed è vestito di nero da capo a piedi, con la stessa barba, ma soprattutto con gli stessi occhi neri, angosciati anche di fronte al mare abbagliante e vacanziero di Ischia. Occhi che hanno visto troppo e che, col cuore, sono sempre in mezzo alla guerra, in Siria. Nell'isola i due ragazzi di Raqqa sono venuti a ritirare il Premio internazionale di giornalismo, conquistato sul campo, nella redazione del sito clandestino «Raqqa is being slaughtered silently» (www.raqqa-sl.com), che da oltre due anni racconta coraggiosamente come la loro città venga appunto massacrata nel silenzio. Un silenzio che loro hanno rotto con un flusso di notizie, vitale per far conoscere oltre i confini la reale situazione della cosiddetta capitale dell'Isis, per loro capitale della resistenza. Lo hanno fatto da lì nel 2014, ora lo fanno dalla Germania, dove si sono rifugiati e da ogni Paese dove vanno, continuando a diffondere le grida d'aiuto che vengono dagli amici rimasti in Siria.

Abdalaziz, 24 anni, è quello che parla meglio inglese e fa il portavoce, Khader di anni ne ha 23 e sta attaccato al suo iPhone. Così, grazie ad un'app criptata che aggira ogni controllo, anche durante l'intervista racconta in Siria quel che accade qui e viceversa. Chiediamo se è vero che Raqqa sia vicina alla liberazione, una voce che gira da settimane. Alhamza scuote la testa, nei suoi occhi c'è un lampo d'ira. «In realtà - spiega - la situazione è peggiorata, è davvero terribile, ormai la città viene bombardata ogni giorno e c'è una strage dei civili. L'Isis continua a presidiarla e intanto gli aerei lanciano bombe sulla gente, che non può più nemmeno fuggire, solo qualcuno riesce a riparare nelle campagne. Parlano da tempo di liberazione ma è solo una guerra di media, voci alimentate da qualcuno per arrivare al controllo della situazione. Per la gente, però, non è cambiato nulla in meglio, anzi». Khader ha gli occhi fissi sul cellulare e digita la domanda all'interlocutore lontano: che c'è di nuovo? Da Raqqa, da Falluja, da Mambj le notizie non sono buone. «Gli aerei - dice- fanno strage. Soprattutto quelli dei russi, che uccidono tanti civili senza far distinzione e colpiscono anche in zone dove l'Isis non c'è». Mostra i messaggi postati dall'Iphone, gli articoli. Spiega: «Ogni minuto i gruppi dei nostri amici lavorano rischiando la vita, per mandarci notizie. E ogni minuto parlano di esecuzioni in piazza dell'Isis, arresti, persecuzioni, di stragi del regime siriano, di attacchi dall'aria. Molti di noi sono stati uccisi, a Raqqa ma anche in Turchia, però le voci del nostro sito libero continuano a parlare».

I due ragazzi spiegano, anche al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni venuto al Premio Ischia, che temono di essere «liberati» dalle forze che vengono da nord appoggiate dalla Russia o da quelle che vengono da sud composte dai curdi e dalla coalizione internazionale guidata dagli Usa, solo per finire in un'orbita o nell'altra, senza rispetto per la popolazione che affoga nel sangue. E se gli si chiede quale delle due forze sceglierebbero, se obbligati, Alhamza risponde chiaro: «Come scegliere il male minore? I russi uccidono civili senza risparmio, gli altri fanno più attenzione alla popolazione, ma la coalizione internazionale deve rivedere le sue strategie e i suoi accordi, sostenere i gruppi locali e i curdi che hanno bisogno di aiuto, fare in modo che davvero si vada verso una fine della guerra, sconfiggendo tutti gli estremismi, a cominciare dal regime siriano».

Per loro, insomma, Assad rimane il nemico numero uno. «Lui è il dittatore - spiega Alhamza - che ha ucciso un quarto dei siriani, anche con armi chimiche, bandite da tutti. Quello che ha fatto l'Isis è nulla in confronto. Se chiedete ai rifugiati che vengono in Europa da che cosa fuggono, risponderanno dal regime di Assad e dalla guerra di cui è la causa». Già, i rifugiati. In Italia e in Europa il flusso dei siriani e degli altri immigrati è imponente, per molti rappresenta un problema che non si riesce a fronteggiare. «So che si parla di troppi profughi, di chiudere le frontiere», commenta Alhamza, e la voce gli si spezza, quasi in un singhiozzo. «Ma l'unico modo per risolvere il problema che siamo per voi - continua - è far finire la guerra in Siria. Quando abbiamo cominciato l'Isis era appena arrivato a Raqqa e nessuno sapeva niente di quello che stava succedendo. Abbiamo pensato di sfruttare le tecnologie online perché l'Isis usava le stesse tecnologie per reclutare adepti nel mondo, per crescere nelle loro scuole una nuova generazione di estremisti. La nostra è una contro-propaganda. Volevamo e vogliamo farci sentire, per chiedere aiuto».

Khader interviene sul tema e precisa, quasi con risentimento: «Ora siamo in Germania perché non avremmo potuto continuare da lì a fare il nostro lavoro, giriamo i Paesi, veniamo in Italia, per raccontare la verità, fare controinformazione, perché tante cose non vere circolano. Il nostro gruppo è ancora di 17 persone e molte sono in Turchia. Non siamo venuti a visitare l'Europa, non siamo in vacanza - sospira Khader - siamo dovuti fuggire perché eravamo minacciati. Ma lavoriamo per una Siria libera».

Alhamza riprende la parola: «Diciamo alla comunità internazionale che per noi, come siriani, il primo problema è sconfiggere il regime di Bashar Assad.

Purtroppo, fino all'arrivo dell'Isis nessuno nel mondo se ne occupava, mentre già succedevano cose terribili. Ora la situazione è molto complessa e c'è bisogno di collaborazione. Non vogliamo che la Siria diventi un nuovo Iraq».

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