Volontaria italiana rapita dai jihadisti

Assalto del commando di Al Shaabab. Esplosi fumogeni e raffiche di Ak-47: 5 feriti

Luigi Guelpa

«La ragazza urlava, chiedeva aiuto. Nessuno poteva intervenire perché quei maledetti sparavano in tutte le direzioni. L'hanno portata via di forza, caricata sul furgone che si è diretto verso il fiume Tana». Ha ancora il terrore negli occhi Philip Ondinyo, testimone oculare del rapimento della volontaria italiana Silvia Costanza Romano, 23 anni, sequestrata martedì sera da un commando di jihadisti in Kenya. Il dramma si è consumato al villaggio di Galana Kulalu, nei pressi dell'agglomerato urbano di Chakama, località balneare a 80 km da Malindi. «Ho cercato di difenderla, ma non ci sono riuscito, uno di loro mi ha preso a bastonate» dice Ronald Karixa, un 19enne che era con lei. «Stavo parlando con lei quando l'hanno presa. Lei urlava Ronald, Ronald aiutami. Ho cercato, ma mi hanno colpito. Silvia l'estate scorsa mi ha aiutato pagandomi le tasse del liceo, mi ha aiutato in tante circostanze. È una ragazza fantastica».

Oggi Chakama pare un paesaggio lunare: botteghe chiuse, strade vuote, distribuzione dell'acqua interrotta, trasporti sospesi. Hanno rapito la nyeupe, in lingua swahili la «bianca», ripetono gli abitanti della zona come se fosse un mantra. L'unico segnale di vita sono i soldati in mimetica che pattugliano il luogo in cui si è consumato il dramma. Erano le 20 locali, le 18 in Italia, quando un gruppo armato ha prelevato Silvia. Gli assalitori hanno aperto il fuoco in modo indiscriminato; tutto è accaduto in maniera repentina, il blitz dei jihadisti di Al Shaabab è durato non più di tre minuti. Sono andati a colpo sicuro, erano sicuri di trovare la giovane, originaria di Milano, da sola. I suoi colleghi avevano lasciato il Kenya tra sabato e domenica, gli altri sarebbero arrivati nel fine settimana. Lo sa bene il capo della polizia locale Joseph Boinnet, sostenendo che la cooperante «era stata forse pedinata da qualche giorno. Sapevano come muoversi».

Il rapimento è stato condotto da professionisti, forse gli stessi che hanno condotto simili operazioni nella contea di Kilifi, già in passato scenario del rapimento di stranieri: sono arrivati a bordo di un furgone, lanciando un fumogeno nei pressi dell'abitazione della ragazza, sede dell'associazione umanitaria Africa Milele. Un diversivo studiato a tavolino per creare confusione, portare la vittima allo scoperto, e aprire il fuoco con gli AK-47.

Nell'attacco sono rimaste ferite cinque persone: due adulti di 20 e 23 anni e tre ragazzini di 10, 12 e 16 anni. La più grave è la ragazza 23enne, colpita da una pallottola che le ha trapassato il collo. Gli altri hanno riportato ferite da arma da fuoco alle gambe. Secondo alcuni testimoni la ragazza è stata caricata a bordo del furgone da tre miliziani, mentre uno dei guerriglieri ha esploso altri colpi di mitragliatore per coprirsi la fuga. La polizia, che in un primo tempo aveva parlato di un attacco a scopo di rapina in un bazar della zona, ha fatto sapere che tutte le persone colpite sono state trasportate al Sub County Hospital di Malindi in codice rosso e che di Silvia, al momento, non c'è alcuna traccia.

La Procura di Roma ha aperto un fascicolo di indagine in relazione al rapimento. Nel procedimento, coordinato dal pm Sergio Colaiocco, si ipotizza il reato di sequestro di persona con finalità di terrorismo. I carabinieri del Ros sono in contatto con le autorità keniote che hanno dato ampie garanzie di collaborazione. La Farnesina analizza l'evolversi della situazione, e come ha affermato il vice ministro degli Esteri Emanuela Del Re, «seguiamo da vicino il caso. Lo dico con una certa commozione.

Vorrei mandare i miei saluti alla famiglia, nella speranza che la questione si risolva rapidamente». Per il governo di Nairobi ha parlato in serata il ministro degli Esteri Ahmina Mohammed. «Sappiamo con chi abbiamo a che fare. Riscatto? Al momento nulla, ma si faranno vivi tra non molto».

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