«Sia noi che la Ue abbiamo sottostimato l'effetto recessivo di alcune delle misure imposte alla Grecia». Questo mea culpa datato febbraio 2016 porta la firma di Christine Madeleine Odette Lallouette coniugata (e poi divorziata) Lagarde, direttore generale dell'Fmi e presidente designata della Banca centrale europea. Una sortita che ha contribuito a migliorarne un'immagine che andava sbiadendosi per via dell'avversione sempre più generalizzata a quelle politiche di austerity propugnate dall'Unione europea a trazione tedesca. Un passato che non si può cancellare e che riflette una luce sinistra sulla nuova guida dell'Eurotower.
Basta tornare indietro al 3 e 4 novembre 2011 al G20 di Cannes per condividere quei timori che i due vicepremier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, oggi cercano di celare con spavalde dichiarazioni. Quel summit fu differente rispetto agli altri perché aveva due Paesi europei sul banco degli imputati: l'Italia e la Spagna. E proprio quell'occasione fu l'innesco della congiura ordita da Francia e Germania, con diffuse complicità nazionali e internazionali, contro l'ultimo presidente del Consiglio italiano regolarmente eletto: Silvio Berlusconi.
Proprio l'ex premier iberico José Luis Zapatero nella sua autobiografia El dilema aveva riferito di una cena ristretta all'Ue (presidente Barroso), all'Fmi (di cui Lagarde era da poco alla guida), al presidente Usa Barack Obama ai capi di governo e ministri delle Finanze di Italia e Spagna. La pratica iberica fu archiviata velocemente in quanto Madrid attraversava una crisi simile a quella italiana. Con lo spread Btp-Bund sopra quota 500 le attenzioni si concentrarono su Berlusconi e Tremonti e fu proprio Lagarde a compiere il primo passo, offrendo prestiti in cambio del commissariamento da parte della Troika (Ue, Bce e Fmi). La prima proposta fu di 40 miliardi di euro, ma venne rifiutata così come la seconda da 60 miliardi. La terza fece vacillare Berlusconi perché 90 miliardi di euro avrebbero fatto comodo, visto che la manovra correttiva non aveva calmato i mercati perché mancante della riforma delle pensioni. I presenti misero «il governo italiano sotto un duro martellamento» perché accettasse gli aiuti del Fondo monetario come Grecia, Irlanda e Portogallo. Berlusconi e il suo ministro si difesero con un catenaccio in piena regola.
Tremonti, raccontò Zapatero, ripeteva: «Conosco modi migliori per suicidarsi». Ma l'immagine dell'Italia ne uscì ammaccata, anche per colpa di quel sorrisetto ambiguo tra Merkel e Sarkozy interpellati sulla capacità italiana di tener fede agli impegni. Di lì a poco, caso strano, subentrò Mario Monti che già dall'estate precedente era stato allertato dal presidente della Repubblica Napolitano ad accettare il premierato in caso di emergenza.
Anche l'ex numero uno della Commissione Ue, José Manuel Barroso, affermò che fosse «necessario staccare la spina a Berlusconi» e che la strategia doveva essere attuata mediante «una raffica di dichiarazioni da tutti i fronti».
Ecco Christine Lagarde, per quanto da una posizione defilata, era una ruota di questo ingranaggio che aveva il suo cardine nella Bundeskanzlerin e che forse non dispiaceva nemmeno alla Casa Bianca, per quanto l'amministrazione Obama abbia per lo meno evitato all'Italia (storicamente atlantista) l'umiliazione del commissariamento che non fu risparmiata invece alla Grecia. Lo stesso segretario al Tesoro Usa, Timothy Geithner nel suo libro Stress test confermò che nell'autunno del 2011 «alcuni funzionari europei ci contattarono con una trama per cercare di costringere il premier italiano Berlusconi a cedere il potere, volevano che noi rifiutassimo di sostenere i prestiti dell'Fmi all'Italia, fino a quando non se ne fosse andato». Le pressioni operate da Angela Merkel furono rivelate dal Financial Times: l'Italia si oppose al commissariamento, la Germania voleva piegarla come fatto con la Grecia e il nulla di fatto costò quella esiziale e ulteriore impennata dello spread.
Proprio alla Grecia furono rivolte le doglianze postume di Lagarde. «Si è fatto un errore evidente nel calcolo dei moltiplicatori», dichiarò nella medesima intervista riparatrice accennando a un'ipotesi di partenza sbagliata.
Washington stimava che ogni euro di spesa pubblica tagliata comportasse un decremento di 0,5 euro del Pil ellenico. Conteggio fasullo poiché l'effetto recessivo fu triplo per un'economia in crisi nonché profondamente legata agli investimenti pubblici. Anche la Grecia aveva provato a resistere. Salvini dovrà tenerne conto.
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