Dalle false notizie sui crimini degli immigrati in Svezia alla propaganda pro-indipendenza sulla Catalogna. Dalle presidenziali americane al referendum sull'uscita di Londra dalla Ue. Mosca potrebbe aver trovato un'arma più efficace e di certo più tempestiva dei sottomarini (la cui attività si è decuplicata al largo delle coste inglesi negli ultimi sei anni) e pure degli agenti segreti (quelli russi nel Regno Unito sono da tempo tornati ai livelli della Guerra Fredda). Orientare l'opinione pubblica con tweet sibillini o espliciti oggi può essere un gioco davvero facile. Perfino più facile che spiare le e-mail istituzionali, i leader mondiali, i media e le società di comunicazione. Una sorta di ritorno alle origini, che rievoca la defunta Urss ma applica metodi à la page. In fondo, la battaglia delle idee (o della propaganda) è quella sulla quale si è sempre combattuta la Guerra Fredda. Lo spartiacque fra ieri e oggi sono i mezzi: immediati, incisivi e capillari come può essere un tweet rilanciato migliaia di volte o un post su Facebook condiviso in ogni parte del mondo. La Rete libera rischia di diventare prigione. Lo sa Mosca e lo dovrebbero sapere ora anche quei pezzi della politica europea che sotto l'ombrello della Russia cercano riparo.
Non c'è solo il partito dell'estrema destra in Austria, l'Fpö, arrivato secondo alle ultime elezioni dopo aver siglato un «patto di cooperazione con la Russia». Non c'è solo il Front National di Marine Le Pen in Francia, a un passo dall'Eliseo anche grazie al sostegno economico di Mosca (un prestito di circa 9 milioni di euro nel 2014). Non c'è solo l'ascesa di Alternative für Deutschland in Germania, il Paese in cui gli hacker russi avrebbero spiato i partiti politici e messo in atto un attacco contro il sistema informatico del Bundestag. Ci sono anche la Lega Nord di Matteo Salvini, con la quale il partito Russia Unita di Putin ha stretto agli inizi di marzo un'intesa di cooperazione e collaborazione. E c'è il Movimento Cinque Stelle. Per Beppe Grillo c'è bisogno «di statisti forti come Trump e Putin», il leader russo «è quello che dice le cose più sensate sulla politica estera» e «l'embargo verso la Russia ci costa troppo».
Anche i viaggi Roma-Mosca si sono fatti più intensi (non solo quelli di Salvini ma anche quelli del deputato pentastellato Manlio Di Stefano e di Alessandro Di Batista). Mosca chiama. E c'è un pezzo di Europa che risponde. Speriamo che la democrazia non resti appesa a un tweet.
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