New York. A oltre tre settimane dall'invasione russa dell'Ucraina, e con Mosca ben lontana dal raggiungere i suoi obiettivi militari, Volodymyr Zelensky si rivolge a Vladimir Putin affermando che «è tempo di colloqui di pace, senza indugio».
Un incontro, per il leader di Kiev, «è l'unica possibilità per la Russia di ridurre i danni causati dai propri errori». «È tempo di incontrarsi, di parlare, è tempo di ripristinare l'integrità territoriale e la giustizia per l'Ucraina - ha detto in un videomessaggio su Facebook - Altrimenti, le perdite della Russia saranno tali che il Paese impiegherà diverse generazioni per riprendersi».
Mosca tuttavia frena, e tramite il suo capo negoziatore, Vladimir Medinsky, ha spiegato che «prima ancora di menzionare una riunione tra i due leader le delegazioni di negoziatori devono preparare e concordare il testo di un trattato». «Successivamente il testo dovrebbe essere siglato dai ministri degli Esteri e approvato dai governi», ha continuato, e solo allora si potrà discutere la «possibilità di un incontro» tra Putin e Zelensky.
Il capo negoziatore ucraino, Mykhailo Podolyak, da parte sua ha ammesso che i colloqui potrebbero durare «diverse settimane», anche se ci sono segnali che la posizione di Mosca sia diventata «più adeguata»: «Ciò che potrebbe accadere in pochi giorni è un cessate il fuoco». A far capire che una svolta è lontana è comunque il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, il quale ha affermato che gli Stati Uniti «tengono per mano» la delegazione ucraina nei negoziati di pace con la Russia, «impedendo a Kiev di accettare le richieste minime di Mosca».
«Abbiamo sempre favorito una soluzione diplomatica di ogni problema, quando Zelensky propose colloqui nel pieno delle ostilità il nostro presidente ha acconsentito e sono iniziati - ha spiegato -. Questo è accaduto malgrado la delegazione ucraina abbia iniziato a prendervi parte per lo più in modo, per così dire, solo formale».
Il processo comunque, ha precisato Lavrov, «va avanti nonostante ciò». Da Pechino, intanto, la Cina si scaglia contro le sanzioni «sempre più scandalose» imposte dalle nazioni occidentali alla Russia: il vice ministro degli Esteri Le Yucheng si è schierato con Mosca pure sulla Nato, affermando che l'alleanza non dovrebbe espandersi ulteriormente verso Est, costringendo una potenza nucleare come la Russia «in un angolo». Da Londra, invece, la ministra degli Esteri Liz Truss in un'intervista al Times si è detta «molto scettica» su un possibile successo dei negoziati, sottolineando anzi che si potrebbe trattare, in senso figurato, di una «cortina fumogena» creata da Putin esclusivamente per riorganizzare le sue forze armate. E il ministero della Difesa britannico ha avvertito che Mosca potrebbe ricorrere «all'uso indiscriminato della potenza di fuoco», poiché è costretta a cambiare tattica. Il presidente americano Joe Biden, nel frattempo, durante il colloquio con il collega cinese Xi Jinping ha espresso «le preoccupazioni degli Stati Uniti che le false informazioni diffuse da Mosca sulla presenza di armi chimiche in Ucraina possano essere sfruttate come pretesto per un'operazione».
Secondo quanto rivelato da alti funzionari Usa e della Nato al Washington Post, la Russia possiede da anni un arsenale di armi chimiche che continua a produrre e conservare a dispetto dei trattati internazionali e nonostante anni di promesse e dichiarazioni che lo avrebbe smantellato. In particolare, le fonti parlano di laboratori militari che hanno continuato a funzionare e a produrre agenti nervini come il Novichok o il Sarin, nonostante l'adesione della Russia alla Convenzione sulle armi chimiche del 1993.
Secondo i funzionari americani, come dimostrato dal caso Skripal, l'ex spia russa avvelenata in Gran
Bretagna con il Novichok, il Cremlino considera le armi chimiche uno strumento «legittimo ed efficace» per raggiungere diversi obiettivi, «dall'eliminazione degli oppositori politici alla sottomissioni di nemici armati».
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