Gianluigi Nuzzi
da Milano
Ancora notte, hanno tirato giù dal letto impiegati delle Dogane, marescialli della Guardia di finanza, burocrati delle agenzie delle Entrate. Con il dito schiacciato sul campanello, i pugni alla porta, armati, i militari dello Scico delle Fiamme gialle. Perquisizioni a tappeto, in grande stile. Oltre 250 in tutta Italia, ordinate dalla Procura di Milano e compiute da circa 500 investigatori esperti in criminalità organizzata e traffici di droga. Un superblitz della magistratura, governo Ulivo, contro la mafia? Macché la maxi operazione, non uno in cella o agli arresti domiciliari, è disposta perché gli indagati, 128 dipendenti dello Stato tra pettegoli, nullafacenti e curiosi, negli ultimi due anni hanno utilizzato impropriamente le password per accedere dal computer alla banca dati dell’anagrafe tributaria. E illegittimamente assumere informazioni patrimoniali su personaggi illustri: Silvio Berlusconi, Romano Prodi, la moglie Flavia, Massimo D’Alema; calciatori della Nazionale, attori e soubrette. Che si tratti di curiosità è subito chiaro, ma con il calo di popolarità per la Finanziaria e dato che, per caso?, trapela solo il nome di Prodi, a sinistra si grida allo scandalo. Prodi si fa martire, il portavoce Silvio Sircana: «Siamo sconcertati, spero vengano scovate ed eliminate le mele marce».
Dall’anagrafe tributaria si possono conoscere dati come 740, atti del registro, delle Conservatorie e della Camera di Commercio. Atti, va subito detto, in gran parte scaricabili a pagamento dai siti internet specializzati. In altre parole, questi dipendenti (dieci i sottufficiali della Gdf indagati) in ufficio per noia o curiosità entravano nell’archivio tributario con la password personale e digitavano il cognome del politico o vip di turno per conoscerne reddito, proprietà e affari immobiliari.
La notizia provoca un terremoto, visto che il cognome Prodi sarebbe stato digitato 128 volte mentre su Berlusconi non filtra alcuna indiscrezione. Dalla maggioranza, apriti cielo. Grida allo scandalo, alle spie che seguivano il sommo leader Prodi. Con gli immancabili «servizi deviati», paralleli o perpendicolari che siano, a farla da padroni. Insomma, un polverone. Si contrabbanda per spectre, quello che appare come voyeurismo o, malcostume. Basta prendere la storia dell’indagata Angela di Barcellona Pozzo di Gotto. Incensurata, 65 anni, impiegata all’ufficio entrate del paese in provincia di Messina, il 26 maggio cliccò «Prodi» all’anagrafe tributaria. Una spia? No Angela preferisce i cannelloni ripieni e cucinare lasagne. Certo è curiosa e senza tanto pensarci su quel giorno si tolse lo sfizio. Oggi all’alba in quattro le hanno perquisito casa ufficio e persino l’utilitaria. Senza trovare nulla, ovviamente. Dovevate vederle però le occhiate allibite dei colleghi. Lei, l’Angela trattata da bandita ha ammesso che sì certo voleva vedere il 740 di Prodi, lei che tira avanti con figli e nipoti a 1.500 euro al mese. Straordinari compresi.
È proprio da Prodi che parte questo blitz. Anzi, il vice ministro dell’Economia Vincenzo Visco ha firmato la denuncia del 29 settembre alla Procura di Milano. Visco, il politico che vuole il grande orecchio finanziario su depositi e beni e che ha la delega proprio sulla Guardia di Finanza, chiede che Procura e Finanza accertino chi e perché ha digitato il cognome Prodi. E lo Scico, struttura creata per la lotta alla mafia che poteva quindi respingere la delega di indagini, accetta subito un incarico non suo. Dimentico forse che fu proprio il centrosinistra a destrutturare i corpi speciali. You remember?
Insomma, quattro impiccioni. Se si fosse davvero davanti a una rete di spie, come mai sono incensurati e tra loro non è stato arrestato nessuno? Come mai questi dipendenti hanno cliccato il nome dal proprio pc ben sapendo che rimane memoria dell’accesso nel cervellone centrale? Come se un delinquente andasse a fare una rapina utilizzando la propria automobile.
Tutto era nato quando il premier aveva ritrovato a più riprese sui giornali, tra l’inverno e l’estate scorsa, l’imbarazzante storia delle donazioni fatte da lui ai figli, utilizzando una legge varata dal governo Berlusconi. Una caduta di stile non da poco per l’antagonista del Cavaliere. Prodi non sa o finge di non sapere che gli atti delle donazioni immobiliari sono pubblici. Nessun mistero. Basta andare all’ufficio del territorio di Bologna o anche via Internet e ottenere i dati con una visura ipocatastale. Ma Prodi grida al complotto. Si sente spiato. E così, mentre la Finanziaria toglie respiro al governo e consenso al premier, il 29 settembre Visco decide di presentare addirittura una denuncia alla procura di Milano. Sostenendo che qualcuno «spia».
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