Due protagonisti di una classica commedia all'italiana: da una parte Riccardo Sindoca, il facoltoso lombardo che di fronte ai magistrati racconta la sua verità, illustra, spiega, consegna documenti, con lo scopo primario di sminuire l'importanza e dare legittimità all'organizzazione alla quale aveva aderito; dall'altra Gaetano Saya, megalomane faccendiere nero, che al giudice oppone un perentorio «non rispondo» e ai giornalisti dichiara di trincerarsi dietro il «segreto militare Nato», con l'evidente intenzione di atteggiarsi a grande e misterioso spione. Il suo avvocato, in un'istanza ai magistrati, eccepisce competenza territoriale e tenta di opporre «il segreto di stato». Due protagonisti di una realtà a due facce, come quel DSSA che oggi rappresentano davanti al gip Elena Daloiso e ai pm della Procura di Genova Nicola Piacente e Francesca Nanni, una associazione che secondo Sindoca altro non era che «un organismo di consulenza che si affiancava alle istituzioni e ad esse era del tutto nota», ma anche una associazione che, come aveva spiegato nei giorni scorsi Saya, aveva tra i suoi compiti principali quello di indagare, prevenire e combattere il terrorismo islamico. La doppiezza di questa cosiddetta «polizia parallela» è emersa chiaramente oggi nel corso degli interrogatori di garanzia ai quali Sindoca e Saya, i due principali imputati nell'inchiesta, entrambi agli arresti domiciliari, sono stati sottoposti.
Interrogatori che, al momento, non hanno consentito di fare molta luce sulla vicenda.
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