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Per via Poma la verità dopo 20 anni. Forse

Un assassinio lungo vent’anni. Una vita fatta a pezzi con ventinove coltellate, in una torrida giornata d’agosto. Un mistero lungo vent’anni.
Altre vite che s’intrecciano sullo sfondo. Che appaiono, scompaiono, riappaiono attorno a quel cadavere, il cadavere di Simonetta Cesaroni, in una sorta di danza macabra indecifrabile. È il delitto di via Poma, è il vero, primo cold case tutto italiano, che ieri, si è riaffacciato sul triste palcoscenico della cronaca buia e nera con un presunto colpevole e un ergastolo vero. Chiesto dal pm Ilaria Calò per Raniero Busco, rimasto, dopo una stratificazione di indagini sconcertante, l’unico imputato per l’uccisione dell’ex fidanzata in un appartamento in via Poma, a Prati, quartiere bene, popolato da stimati professionisti e dandy ancora indecisi su cosa fare da grande. Una lunghissima requisitoria, quella del pm, che ha occupato due udienze e ha ripercorso le tappe della vicenda: dalle indagini negli anni Novanta fino alle più recenti, condotte con l’utilizzo delle nuove, rivoluzionarie tecniche della scienza forense e delle più moderne investigazioni. Tecniche d’indagine e risultanze scientifiche che hanno determinato, non solo la riapertura del processo, ma soprattutto l’incriminazione di Busco per la compatibilità della sua arcata dentaria con il segno di un morso riscontrato sul seno della Cesaroni. Busco che oggi ha 44 anni, sposato con due figlie, meccanico a Fiumicino, è stato accusato di omicidio volontario dopo una perizia sul corpetto che la Cesaroni indossava quando fu uccisa. Su quel corpetto è stata infatti trovata una traccia genetica della sua saliva che Busco giustifica con effusioni scambiate la sera prima con Simonetta. Ma contro di lui il pm ha esibito anche una traccia di sangue trovata sulla porta dell’appartamento di via Poma 2. Un gruppo sanguigno che le vecchie metodiche di analisi non permettevano di distinguere con certezza ma che oggi invece, come sostiene il pm «è riconducibile a Busco al di là di ogni ragionevole dubbio».
Ma rivediamolo alla moviola, almeno nei suoi passaggi cruciali questo cold case: è il 7 agosto 1990, il cadavere seminudo di Simonetta, uccisa da 29 coltellate, probabilmente inferte con un tagliacarte viene trovato alle 23,30 dalla sorella Paola allarmata dal suo ritardo nella sede dell'Associazione alberghi della gioventù in via Poma 2. Ad aprire la porta, dietro le insistenze di Paola e di alcuni amici, è Giuseppa De Luca, moglie del portiere Pietrino Vanacore. Prima di morire la ragazza si sarebbe difesa con tutte le sue forze. L’ora della morte sarebbe collocabile tra le 18 e le 18.30. Tra la notte del 7 Agosto e la mattina successiva, la polizia perquisisce l’intero palazzo di via Poma. Probabilmente l’assassino della ragazza ha tentato di violentarla. Ma qualcosa o qualcuno lo avrebbe disturbato. I sospetti fin da subito cadono sul portiere dello stabile Pietrino Vanacore, l’uomo che in quel periodo prestava assistenza tutte le sere in casa dell’anziano architetto Cesare Valle, afferma che alle 22.30 si è recato da Valle che abita sopra l’ufficio. Ma il suo racconto non collima con quello di Valle che sposta l’orario di arrivo di Vanacore alle 23. Gli investigatori sospettano che in quei 30 minuti il portiere abbia ucciso Simonetta e ripulito il luogo del delitto. Vengono trovati un paio di suoi pantaloni macchiati di sangue e il portiere viene arrestato. Rimarrà in cella però solo 26 giorni scagionato proprio da quelle macchie di sangue che ad un esame approfondito risultano sue. Il processo e le indagini sembrano impantanati almeno fino al Maggio 2009, quando anche una seconda indagine su Pietrino Vanacore viene archiviata, dopo una perquisizione domiciliare nella sua casa pugliese poi la riapertura del processo il 3 febbraio 2010 con Busco accusato d’omicidio. Ma un altro mistero si aggiunge all'intricata matassa di dubbi e interrogativi che si sono affastellati in questi vent'anni: è il suicidio, o forse addirittura l'omicidio mascherato da suicido, di Pietrino Vanacore, nel frattempo tornato ad abitare a Torricella, nel Tarantino dove era nato. Il corpo senza vita di Vanacore affiora il 9 Marzo proprio nel mare davanti Marina di Torricella, in località Torre Ovo. Ha i piedi legati da una fune. Avrebbe dovuto testimoniare in aula tre giorni dopo.

Su quest’altro mistero l’epigrafe del legale di Raniero Busco: «Lui ha vissuto con rimorso sulla coscienza questa storia, e non perché lui fosse l'autore dell'omicidio, ma perché sapeva. Evidentemente, però, non poteva parlare neanche a distanza di anni».

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