PONZIO PILATO

«Ecco l’uomo; ecco il giovane di Nazareth famoso sino alla punta più estrema del deserto. Finalmente ti conosco».
«...».
«Come ti sei procurato quelle ferite sulla fronte? E il cerchio nero sulla tempia destra? Sono stati i miliziani del Tempio a trattarti così?».
«...».
«Hai bisogno di riposo? Se vuoi, ritorno più tardi...».
«...».
«Non parli e non mi guardi; sono così poco degno delle tue parole e dei tuoi occhi?».
«...».
«Qualcuno di questo mondo è degno di te?».
«...».
«Mi chiamo Ponzio Pilato: sei stato imprigionato e portato al mio cospetto per essere interrogato, ascoltato, giudicato. Hai niente da dire rispetto alle accuse che ti vengono mosse?».
«...».
«È vero che sei il figlio diletto di Dio?».
«Tu lo dici».
«È vero che puoi resuscitare i morti, guarire gli appestati e i folli, restituire passo agli zoppi, luce ai ciechi, pace ai corpi senza ordine?».
«Tu lo dici».
«È vero che profetizzi la distruzione di Gerusalemme e quella di Roma?».
«Tu lo dici».
«È vero che sei il re dei giudei e che, in quanto tale, sei il re di tutti i popoli? È vero che la tua autorità è tanto estesa?».
«Tu lo dici».
«È vero che sei Dio?».
«Tu lo dici».
«...».
«...».
«È così potente e magnanimo un re che si rifiuta di spiegare a chi vuol capire? È così giusto un Dio che, dinanzi alle domande di un uomo, omette e scompare nel silenzio?».
«...».
«È vero che costringi i tuoi seguaci a spogliarsi di tutto, a disconoscere la famiglia, ad abbandonare i figli, a non onorare i morti?».
«Tu lo dici».
«È vero che attribuisci agli scribi e ai farisei lo stesso nome delle vipere? È vero che hai insultato i mercanti e i pubblicani sino a definire il tempio “una spelonca di ladri”?».
«Tu lo dici».
«È vero che agli occhi dei tuoi discepoli configuri Cesare e Roma come il supremo male da estirpare?».
«Tu lo dici».
«È vero che uno zelota violento e sedizioso, che un uomo empio che delinque, condannato secondo la legge del mio impero, è invece il primo da onorare, secondo il diritto del regno che tu rappresenti?».
«Tu lo dici».
«È vero che il tuo Dio è prossimo ad arrivare e che dal cielo seminerà su questa terra pianto e stridore di denti per tutti?».
«Tu lo dici».
«E come mai, adesso, gli unici occhi che soffrono, i soli denti che stridono sono i tuoi?».
«...».
«Ti lascio; vado a cercare ciò che non mi dici lontano da qui».
«...».
«In verità ti dico: quando, al termine della notte, mi presenterò di nuovo nella tua prigione, non ci sarà più tempo.

Né per le mie domande, né per il tuo silenzio».
«...».
«Vuoi che faccia portare un messaggio, un saluto a qualcuno dei tuoi? A tua madre?».
«...».
«Hai sete?».
«...».
«Sei affamato?».
«...».
«Hai paura?».
«Sì».

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