A poco più d’un anno dai fasti del «Vaffaday», Beppe Grillo pare aver già imboccato il viale del tramonto, anzi il caruggio del tramonto, visto quanto è angusto il passaggio verso l’uscita di scena, senza più folle oceaniche ai lati. La Cassazione ha bocciato i suoi quesiti referendari: e non perché abbia scovato qualche cavillo per bocciarli, ma perché le firme presentate non bastano. L’uomo che doveva raccogliere attorno a sé il popolo italiano, non ha raccolto neanche mezzo milione di firme.
Un mesto e lesto declino, cominciato con i vaffa che Grillo si è beccato in gran quantità sul suo stesso blog quando grazie a Visco (anche gli orologi guasti ogni tanto segnano l’ora giusta) s’è scoperto che la sua opera moralizzatrice gli rende quattro milioni e passa di euro all’anno (redditi 2006). Quando poi, qualche giorno fa, il masaniello genovese aveva cercato di cavalcare la protesta degli studenti a Bologna, s’era sentito rispondere, anzi intimare, di togliersi dai piedi.
La parabola di Grillo non è altro che l’eterno riproporsi delle gesta di Agostino Greggi-Alberto Sordi, il «moralista» di un memorabile film del 1959. Inflessibile custode del comune senso del pudore per conto dell’Organizzazione internazionale della moralità, Greggi-Sordi finisce smascherato per quello che era, un turpe individuo dalla doppia vita; ma poiché chi di moralismo ferisce di moralismo perisce, anche il suo giustiziere, Vittorio De Sica, scivola su vizietti e capricci.
Un po’ così è successo a Grillo. Convinto assertore della messa al bando di chiunque abbia una condanna, s’è visto ricordare la propria, di condanna: un anno e tre mesi per l’omicidio colposo di due adulti e un bambino. Implacabile accusatore di evasori fiscali, è stato beccato in castagna per aver usufruito del famoso «condono tombale».
Ma gli italiani sono meno tonti di quel che credono i molti, ricorrenti tribuni che s’illudono di infinocchiarli denunciando vizi e peccati. Altrui, s’intende.
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