Scienze e Tecnologia

Il povero strabico e la Tv in tasca

Ci raccontano che i servizi video mobili sono la killer application per i cellulari di terza generazione. Ma possibile che io non abbia mai visto nessuno fare una videochiamata?

Conoscete tutti l’imbarazzo che si prova a parlare coi tipi alla Marty Feldman, gente che ha un occhio che guarda da una parte e l’altro dall’altra. Di fronte al fenomeno della tv sul cellulare la mia sensazione è quella: non so mai bene dove guardare. Da anni ci raccontano che i servizi video mobili sono la killer application per la telefonia cellulare di terza generazione, ma se mi guardo intorno non ne vedo traccia.

Vivo nella patria della telefonia mobile, frequento con una certa assiduità diciamo un centinaio di persone e incrocio ogni giorno almeno altrettanti sconosciuti. Eppure a quasi quattro anni dal lancio dalla rete Umts non mi pare di aver mai visto nessuno effettuare una videochiamata. Per non parlare poi del tivufonino, lanciato giusto un anno fa in occasione dei Mondiali di calcio: l’ho visto usato solo una volta in mano a un ragazzo giù al bar. Ci si vede sorprendentemente bene, niente da dire, eppure non conosco nessuno che ce l’ha e tra i miei conoscenti nessuno conosce qualcuno che ce l’ha.
Quel che ho appena scritto non ha valore statistico, ma ricordo bene che a un anno dal lancio del primo cellulare, in occasione dei Mondiali del ’90, di gente che parlava in macchina e per strada ce n’era parecchia e sui tavoli del ristorante faceva spesso mostra di sé il nero Motorola d’ordinanza.

Ciò nonostante, i numeri sembrano darmi torto. Gartner, che di solito con le previsioni ci azzecca, stima mezzo miliardo di abbonati alla tv mobile per i 2010, con un giro d’affari di 15 miliardi di dollari (oggi i dollari sono ben meno di un miliardo), due terzi dei quali provenienti dalla tv vera e propria e il resto da servizi di video in mobilità. Per creare questo mercato, ammonisce Gartner, gli operatori però devono fin da ora concentrarsi a creare tutti insieme e poi trasmettere al loro pubblico quella che viene definita la “mobile tv experience”, basata su contenuti creati anche dal basso sul modello YouTube, piuttosto che scervellarsi e scannarsi su mille opzioni tariffarie.

Io continuo nel mio imbarazzo da strabico divergente: con l’occhio che guarda vicino vedo pochissimo interesse da parte di persone e imprese. Se guardo lontano, capisco che lo spazio c’è: anche perché dopo anni di crescita a tassi intorno al 50%, quest’anno il volume d’affari dei mobile content è cresciuto poco meno del 15%; contemporaneamente, nell’aria si percepisce l’attesa di un altro grosso “effetto novità”.

Insomma, sono contento di non dover essere io a decidere dove orientare i miei prossimi investimenti nel settore, trasformandomi in un Marty Feldman. Anche perché, al di là dei problemi tecnologici e di standard, prevedo che il successo di massa del video in mobilità passerà attraverso il modello Internet: connessioni a tariffe flat e diffusione gratuita dei contenuti. Su Internet è la pubblicità che sostiene gran parte dei costi, e sulla tv commerciale pure. E qui? Probabilmente lo stesso, ma fra molto molto tempo. Intanto la tecnologia è già qui, col suo bisogno di fare business subito.

 

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