Cultura e Spettacoli

PRÉVERT Caccia a «Octobre» rosso

Quei sogni (alimentati dal Partito comunista) andarono in scena negli anni Trenta Poi l’abbandono per passare al cinema

«In Francia si prepara la rivoluzione a teatro: una formula che possiamo capovolgere come una clessidra», scrive Roger Vitrac in un articolo del luglio 1936, recensendo Le Tableau des Merveilles, la pièce che Jacques Prévert adattò da Cervantes e mise in scena - con i compagni di Octobre - più volte a Parigi. È il Prévert meno noto, l’autore di testi antiborghesi, antimilitaristi, anticlericali, in una parola engagés, che Gallimard offre ora ai lettori in occasione del trentennale della morte dell’autore: Octobre. Sketches et chœurs parlés pour le Groupe Octobre (1932-1936), a cura di André Heinrich (pagg. 539, euro 29); raccolta di inediti, per lo più, talvolta semplici frammenti, presenti in varie versioni di cui viene trascritta la più antica, e per la maggior parte conservati da Suzanne Montel, segretaria e coordinatrice del gruppo.
Costola di una prima associazione, Prémices, nata nel ’31 e sostenuta dal Pcf, Octobre rientra, all’inizio, nella Fédération du Théâtre Ouvrier de France (Ftof): 170 organizzazioni teatrali in tutto il Paese, costituite da dilettanti, fiancheggiatori, tesserati del Partito, operai. E le rappresentazioni avvengono, ove possibile, nei luoghi di lavoro, nelle fabbriche, con il pubblico che partecipa, interloquisce, biasima o approva. Naturalmente le opere devono restare anonime (da qui le difficoltà che il curatore del volume ha incontrato), bandita persino la parola denaro («tout est bénévole» scrive un articolista). Pezzo forte è il «coro parlato», a più voci, ispirato a fatti di cronaca: repressioni di scioperi, esecuzioni, manifestazioni di piazza; e di ciò numerosi esempi nelle pièces di Prévert.
Octobre conta tra i suoi membri artisti in diversi campi, Sylvia Bataille, attrice, moglie di George, quindi di Jacques Lacan; il fotografo surrealista Jacques-André Boiffard, Lou Bonin-Tchimoukow, il regista del gruppo; e ancora gli attori Raymond Bussières e Jean-Louis Barrault; Paul Grimault, il noto autore di cartoni animati, Marcel Duhamel, l’amico più caro di Jacques, attore e doppiatore di film americani, quindi direttore della «Série noire» Gallimard; e il fratello di Prévert, Pierre, attore (lo si ricorderà ne L’âge d’or di Buñuel) e regista. Molti di questi condividono con Prévert gli anni del surrealismo, degli incontri al 54 di rue du Château con Breton, Desnos, Aragon, e prima delle baruffe e scissioni a causa dell’ortodossia troppo severa di papà Breton.
Deciso che ebbe di mettere la propria penna al servizio della lotta di classe (non a lungo: già nel ’36 Octobre si scioglie e lui prende le distanze dal comunismo), e avendolo ben espresso in qualche infuocato brano teorico che nel volume è riportato («Non è il momento di lasciarsi addormentare, bisogna criticare, dire no. \ È il momento - ora o mai più - di fare il nostro teatro»), Prévert inaugura il suo lavoro teatrale con Vive la presse, messo in scena per la prima volta in banlieue, davanti a una sessantina di scioperanti. È un meccanico gioco delle parti (uno schema poi ripetuto a oltranza): da un lato il capitalista, il curato, il giudice, i flic, il giornalista mendace, dall’altro gli operai pestati a sangue, che pure si incitano a vicenda con ritmo incalzante: «Attenzione, Compagni! Attenzione!» è il refrain. La verità va preservata: «Difendetela, Compagni!/ Contro chi la vuol far crepare!/ Impedirle di mostrarsi!/ Di parlare!/ Di urlare!/ Di strepitare sui tetti!/ Nelle strade/ nelle case/ nelle caserme/ nelle officine/ nelle campagne» e così via, per finire con un «Guardate verso la Russia, Compagni!».
Seguono, fra il ’32 e il ’33, i cosiddetti «Noëls rouges», altro cavallo di battaglia della Ftof, nei quali l’eversione consiste nel volgere in burletta la scena della natività e in genere il ménage di Maria e Giuseppe: nel primo, Conte de Noël, tra serafini-imbonitori («Per il presepe da questa parte!», «Viva i re Magi!»), Maria si accorge che il piccolo è stato rapito, suo sgomento ecc.; nel secondo, L’Émasculée conception, una Maria si interroga sul proprio destino di eterna vergine («Non ti rimprovero niente, Giuseppe... Prima di sposarmi... ero signorina... e adesso... Sono ancora signorina... e presto, ahimè, sarò zitella»), indi diviene madre di Dio rispondendo a un annuncio trovato sull’«Eco di Nazareth»: «Signora sposata cercasi, senza figli e che voglia adottarne uno... \ ottimo futuro per tutta la famiglia... iniziativa che riguarda l’umanità intera... scrivere Fermo posta. “Casa di Dio - creatore del genere umano e di qualsiasi genere”».
Ma a parte questi divertissements, alla Russia Octobre continua a guardare, tanto da partire in spedizione, nel giugno ’33, per il Festival internazionale del teatro operaio. Dinanzi a Stalin allestiscono le pièces di maggior successo, La bataille de Fontenoy e Pars à la guerre, violentemente antimilitariste («La carne d’uomini ansanti/ La minestra con l’acqua rossa di sangue/ La tua pelle per fare un bianco vessillo/ e strillare “Armistizio!”»), e Citroën, uno dei testi che avevano per oggetto le fabbriche di André Citroën e le lotte degli operai per migliori condizioni di lavoro. E dalla Russia Prévert e compagni torneranno (tutt’altro che convinti che «Soltanto in Russia i lavoratori hanno pace!») vantando un primo premio che in realtà mai ebbero.
In alcuni testi - i più interessanti, in quanto meno partecipi del comune programma politico, che bene o male appiattisce toni e inventiva - sgorga una vena fantastica, onirica, come nel bel Fantômes, in cui una famigliola di fantasmi, madre, padre e bambino, trascorre le giornate celata attendendo il calar del sole, ignara del fatto che esista un’altra vita, e «les hommes vivants», utili semmai come spauracchi per far stare buono il piccolo («Ho paura dei vivi...», «Ma non esistono, idiota, non ci sono vivi...», alla madre: «Sei tu che gli hai messo in testa queste storie \»); finché uno di essi non entra nella camera, scombussolandoli. O in Le Tableau des Merveilles, ultimo lavoro del gruppo (dicembre 1935): nell’originale, pubblicato nel 1615, Cervantes racconta di un burattinaio e della sua compagna, i quali fanno credere agli astanti che possa vedere il loro magico spettacolo solo chi sia nato da unione legittima e non abbia antenati ebrei. Prévert lo arricchisce di altre godibili invenzioni.
Un periodo fervido e agitato ha così termine: per l’intiepidirsi delle fedi politiche, per «raggiunti limiti di età», o per il mero bisogno di farsi, come si dice, un posto in società. Prévert porterà con sé nel mondo del cinema molti octobristes, che compaiono nei film di Carné, di Renoir, di Autant-Lara.

Ma se è vero quanto scrive Antonin Artaud in un suo articolo del 1936, e cioè che «il giovane teatro francese cerca un mito \ e perché esso nasca \ occorre in primo luogo creargli una “lingua”», ebbene questa lingua - stralunata, incoerente, ossessiva e spesso angosciante («per il giovane teatro francese moderno non esiste differenza tra mito e incubo» afferma ancora Artaud) - quelli di Octobre l’hanno, se non trovata, per lo meno strenuamente cercata.

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