La preferenza va a McCain ma anche Obama vale

Ora che les jeux sont fait ed è stato assodato chi saranno i candidati alla Casa Bianca e dopo che lei ha preso per le corna il toro del colore della pelle, mi saprebbe dire, caro Granzotto, che sentimenti nutre nei confronti dell’ipotesi che il senatore nero Barack Obama si ritrovi alla guida della superpotenza Usa? E cosa ne pensa della débâcle di Hillary Rodham Clinton?


Dico che il troppo stroppia. Capisco che l’umanità illuminata prema in tal senso, ma mettere contemporaneamente in lizza i campioni del riscatto femminile (il potere alle donne) e di quello razziale (il potere a un nero) non poteva finire che con la bocciatura di una delle due cause. È toccata alla prima, per altro già in stallo dopo una serie di clamorosi fiaschi rosa che vanno da Ségolène Royal giù giù fino ad Anna Finocchiaro. Per quel che riguarda Barack Obama le dirò subito, caro Miretto, che non mi dispiace. Va da sé che alla Casa Bianca vorrei vedervi installato John McCain (specie se dovesse scegliersi come vice Bobby Jindal, il Governatore della Louisiana), ma anche Obama non mi andrebbe male, anche se poi ci sarebbe da sopportare una settimana di trionfalismi della sinistra italiana, che se vincesse Barack strepiterebbe come se avesse vinto lei. Vede, caro Miretto, se mi mettessi nei panni d’un cittadino degli Stati Uniti porrei ovviamente attenzione ai temi di politica interna dei due candidati, pienamente consapevole che quello della previdenza sociale è questione di grande impatto, così come lo è il problema della casa o dell’inquinamento della Chesapeake Bay. Ma ragionando per quel che sono, cittadino italiano, simili faccende poco mi riguardano e dunque non influiscono sul mio giudizio. Al quale non fanno ombra nemmeno i valori simbolici rappresentati dal vecchio, tosto marine e dal piacioso giovane nero.
Contano invece, e moltissimo, le scelte di campo perché loro sì ci coinvolgono, ci espongono anche in quanto italiani. Quelle del candidato repubblicano si conoscono da tempo e, per quanto mi riguarda, risultano rassicuranti. Le sue, Obama le ha espresse solo recentemente, dopo la nomination, ed anche in questo caso c’è, a mio parere, da star tranquilli. Non calerà le braghe. Non sarà, se lo sarà, un presidente di stampo onusiano, arrendevole e compiacente con i regimi canaglia. Certo, ebbe a dire d’esser pronto a «dialogare» con Ahmadinejad, ma una volta ottenuta la candidatura ha assicurato che se eletto presidente farà ogni cosa in suo potere per «eliminare la minaccia iraniana». Anche ricorrendo alla forza perché, godano i pacifisti nostrani che per Obama stravedono, «a volte non ci sono alternative». Sull’altro fronte, quello della polveriera palestinese, Obama non s’è limitato ad ammonire che chi minaccia gli israeliani minaccia gli Stati Uniti, ma ha precisato che un accordo con i palestinesi è possibile solo se questi riconosceranno lo Stato di Israele entro confini sicuri, difendibili, e con capitale - indivisa - Gerusalemme.

Aggiungendo, a mo’ di ciliegina sulla torta, che una volta eletto Presidente si batterà per «garantire a Israele il diritto a difendersi». Sembra di sentir parlare Ronald Reagan, vero, caro Miretto? Ed è o non è un gran bel parlare?

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