Roma «Una rivoluzione copernicana, una rivoluzione del buon senso». L'ennesima. Matteo Renzi, però, ci crede, granitico si presenta nella sala stampa di Palazzo Chigi ed elenca le virtù del disegno di legge delega di riforma della pubblica amministrazione, secondo pilastro della revolución renziana dopo il decreto licenziato circa un mese fa.
«Si tratta di un'accelerazione dei servizi e di semplificazione per cittadini e imprese», ha spiegato aggiungendo che «al termine dei mille giorni di governo il rapporto con la pa sarà rovesciato, alla fine di questi percorsi scanditi dai tempi della legge-delega la Pubblica amministrazione metterà online tutti i certificati e offrirà la possibilità di scaricarli: la Pa va a casa dei cittadini e non più il contrario».
Ovviamente, il traguardo è spostato un po' più in là, ma quello che conta è il percorso. I capisaldi della riforma li ha elencati lo stesso premier: silenzio-assenso, conferenze dei servizi, dirigenza pubblica, procedura e criteri per l'esercizio della delega sulla semplificazione, riforma dei rapporti di lavoro pubblico. In pratica, quando un atto dovrà ricevere un'approvazione da più istituzioni pubbliche sarà fissato un termine di 30 giorni entro il quale, senza pronunciamento, l'ok sarà da considerarsi ricevuto, salvo diversa indicazione di Palazzo Chigi. Idem per lo snellimento delle procedure e le semplificazioni varie. Si sancisce, in questo modo, una primazia della presidenza del Consiglio rispetto ai ministeri competenti. Tant'è vero che il premier ha adombrato la possibilità di coordinare egli stesso (tramite il ministro per l'Attuazione del programma) l'emanazione dei decreti attuativi delle leggi varate negli ultimi anni poiché in giacenza ce ne sono ben 752. «È inutile fare le leggi se non si applicano, è allucinante», ha chiosato. Ma sulla preponderanza (per non dire esondazione) della presidenza del Consiglio, il Quirinale ha già avuto modo di obiettare espungendo dal decreto le norme. Non è detto che tutto fili liscio.
Sulla carta è molto incisivo anche il dimezzamento del monte ore a disposizione per i distacchi sindacali. Dinanzi alle probabili proteste di Cgil, Cisl e Uil il premier fa spallucce. «Stiamo attuando un percorso di riforme così radicale al Senato - ha sottolineato Renzi - che figuriamoci se abbiamo paura. Se hanno il 50% dei permessi in meno nessuno soffrirà. Nessuno vuole punire i sindacati». Anche sul caso Alitalia Renzi ha tirato dritto: «Occorrerà che tutti facciano dei sacrifici - ha detto - l'alternativa non è tra x esuberi e y esuberi, ma tra trattativa e chiusura».
Più controverso è il nuovo ruolo unico della dirigenza pubblica. Saranno, infatti, inseriti in un unico elenco tanto i segretari comunali, vincitori di concorsi, quanto gli attuali direttori generali, di nomina politica (a volte ex politici trombati).
Renzi, però, non si fa intimorire e regala frasi ad effetto: «Rimettiamo in moto la speranza e vedrete che l'Italia vincerà».
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