
Il suo corpo riposa tra le radici di un albero, nel folto di una foresta del Mozambico, a troppi chilometri di distanza dalla sua Trieste. Il suo nome, ora, è scolpito su una targa che lo immortala in una foto scattata mentre, giovane e temerario con gli occhiali da sole e il cappellino calcato sulla testa, insegue quello che non era solo il suo lavoro ma anche il suo sogno: il giornalismo. Là, ora, sta scritto: «Mi sporgo fuori per filmarli: non è facile, occorre stare appiattiti a terra perché le pallottole fischiano dappertutto... alzare troppo la testa può essere fatale». E per Almerigo Grilz fu fatale.
Era il 1987. E Almerigo si trovava a Caia, un puntino rosso sulla cartina geografica di questo Paese che affaccia sull'Oceano Indiano, per raccontare un conflitto atroce e disumano. Non aveva compiuto ancora trentacinque anni. Il primo reporter ammazzato dalla fine del secondo conflitto mondiale mentre si trovava al fronte per essere i nostri occhi sull'orrore della guerra. Per vent'anni fu un «disperso».
Poi il suo collega e amico Gian Micalessin è riuscito a individuare l'albero che, da quel terribile 19 maggio, custodisce le sue spoglie. E insieme a un altro collega e amico, Fausto Biloslavo, sono tornati quest'anno a Caia per inchiodare al tronco la frase tratta dal diario di Grilz. Ora il suo ricordo è davanti agli occhi di qualunque viandante si imbatta in quella foresta ma è anche sul premio giornalistico che ieri sera, a Milano, è stato consegnato a quattro reporter che, come lui, hanno fatto di questo bellissimo lavoro una vera e propria vocazione.
Il primo posto del premio è andato a Vincenzo Circosta per gli scatti catturati in Nagorno Karabakh; il secondo, ex equo, a Eugenia Fiore per il suo lavoro sui quartieri pericolosi di Marsiglia e a Michela Iaccarino per aver raccontato le barbarie inflitte agli orsi della Transilvania; il terzo, infine, Samar Zaoui per aver dato voce ai familiari dei disperati che perdono la vita nella traversata che dalle coste del Nord Africa li separa al raggiungimento di un futuro migliore.
«Abbiamo dato vita a questo premio per fornire un'ispirazione alla nuova generazione di reporter», spiega l'associazione Amici di Almerigo. «L'abbiamo identificata in Grilz giornalista coraggioso, moderno, indipendente, restituendo a lui memoria umana e professionale».
Per troppi anni la figura di Almerigo è stata dimenticata perché accusato di essere «di destra». Ora, a quasi quarant'anni dalla morte, questo muro ideologico è stato finalmente abbattuto.
E lo dimostra la composizione della giuria tecnica del premio: il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, i nostri reporter Biloslavo e Micalessin, Gian Marco Chiocci, Maurizio Belpietro, Toni Capuozzo, Giovanna Botteri, Peter Gomez, Francesco Semprini, Tommaso Cerno, Gabriele Micalizzi e
Gabriella Simoni.Per chi volesse saperne di più sulla vita di Almerigo farebbe bene ad andare a visitare la mostra Dentro il fuoco, ospitata allo Spazio IsolaSet di Palazzo Lombardia (via Galvani 27, Milano) fino al 24 maggio.
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