PREMIO GIOVANNI REBORA

Sì, certo: il Premio, i vincitori, il convivio, l’atmosfera. Tutto bene. Ma bisogna ammettere: il protagonista è stato ancora una volta lui, «U Prufessu», Giovanni Rebora. Ancora una volta lui, cui gli amici di ieri e di sempre hanno voluto intitolare, a quasi cinque anni dalla scomparsa, il Premio per un testo sulla civiltà della tavola vicino alla sua «maniera di pensare», ma anche in linea con il pensiero storico-gastronomico della famiglia Carbone. Che a Rebora fu legata da amicizia profonda e sincera. Sì, certo, comunque sia, «U Prufessu» era lì, nella sera in cui sono stati assegnati i riconoscimenti a suo nome. Il maestro di economia e cultura gastronomica, che insegnò a intrecciare, valutare, e anche spiegare, perché no?, i percorsi della Storia con le abitudini alimentari, era certamente lì a sorridere - sornione e compiaciuto, esorcizzando le formalità - all’evento ispirato dal suo sodale di tavola, Gianni Carbone, l’«Oste» della Manuelina di Recco, e da Gloria, figlia di Gianni, e Federico, figlio di «U Prufessu». Prima edizione e successo immediato. Promossi ex aequo Enrico Vigna e il tandem Laura Grandi-Stefano Tettamanti, il primo autore di «Società rurale e i suoi protagonisti-Lineamenti di antropologia culturale, economia e storia nelle campagne tra le Bormide e il Tanaro» (Contea, 2010), i secondi artefici di «Sillabario goloso-L’alfabeto dei sapori, tra cucina e letteratura» (Mondadori, 2011). A Massimo Montanari è andato invece il Premio alla carriera. La cerimonia di proclamazione (non poteva essere altrimenti) si è svolta alla «Manuelina», dove la famiglia Carbone ha voluto far riscoprire, gustare e celebrare la civiltà della tavola, invitando i commensali alla degustazione di piatti ispirati agli scritti e al pensiero de «U Prufessu», preparati dagli chef Gianni D’Amato del ristorante «Il Rigoletto» e Marco Pernati della stessa «Manuelina». Insieme al prestigioso riconoscimento, ai vincitori è andato un «testo» in rame (la tipica teglia nella quale si usa cuocere la focaccia col formaggio di Recco), battuto a mano e con incise le motivazioni.

«La scelta dell’oggetto - ha spiegato, fra l’altro, Gianni Carbone - non è casuale: l’ambiguità della parola che rimanda anche alla parola scritta oltre che alla teglia della tradizione culinaria genovese è simbolo particolarmente efficace di questo Premio», già proiettato alla prossima edizione. Sempre all’insegna di come la pensava lui, «U Prufessu». Uno che insegnava senza mai mettersi in cattedra.

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