PREMIO NOBEL Autogol di Fogazzaro così vinse Carducci

«Poeta minore». Il poeta studiato da generazioni di studenti, vate ufficiale di un’Italia virile e orgogliosa delle proprie glorie, veniva liquidato così nel 1949 dal critico Natalino Sapegno. Era una stroncatura eloquente dell’eclissi subìta dalla fortuna di Giosue Carducci. Nel dopoguerra che mal sopportava la strumentale rilettura fascista del cantore della «terza Roma», anche la scuola, tradizionale santuario della sua arte, iniziò a relegare l’autore delle Odi barbare nel cantuccio in cui finiscono i ruderi di un tempo inattuale. Improvvisamente giudicato bolso e illeggibile, denigrato come un residuo passatista, Carducci rimane tuttavia il primo italiano a essere stato insignito del Nobel per la letteratura, nel 1906.
Ma non si trattò di un’onorificenza scontata e pacifica, benché il suo magistero fosse all’epoca altamente considerato da tutti i poeti italiani (Pascoli e d’Annunzio facevano a gara per proclamarsi suoi allievi) e apprezzato in tutta Europa. L’ambito riconoscimento gli fu infatti conteso fino all’ultimo da Antonio Fogazzaro, che col «best seller» Piccolo mondo antico era divenuto il romanziere più amato dai lettori borghesi in deliquio. A rivelare i retroscena della controversa vicenda, illustrata dalle carte inedite degli archivi dell’Accademia di Svezia, è ora Enrico Tiozzo, docente di lingua e letteratura italiana all’Università di Göteborg e autore di un saggio in uscita a novembre per la rivista Belfagor, edita da Olschki.
I presupposti per un Nobel da destinare a uno scrittore italiano vennero fissati sin dal 1901, quando l’Accademia svedese, con una spartizione geopolitica degna del manuale Cencelli, incaricò alcune commissioni create ad hoc di segnalare i letterati più meritevoli di ogni singola area. Meglio se si trattava di artisti rassicuranti: «I membri giurati - ricorda Tiozzo - erano tutti legati al re Oscar, monarca conservatore, un vero e proprio baluardo morale e religioso contro ogni tentativo di sovvertire l’ordine costituito. Infatti, gli scrittori più anticonformisti venivano esclusi in partenza: Tolstòj, Ibsen e Strindberg, per fare qualche esempio, erano reputati corruttori dei costumi a causa delle loro idee progressiste».
Questo orientamento rappresentò per Carducci un ostacolo durissimo. Gli infervorati risentimenti anticristiani e il giacobinismo viscerale che aveva alimentato la stagione del suo repubblicanesimo non erano stati dimenticati. Il famoso Inno a Satana e i versi incendiari della sua militanza democratica risultavano, al di là di ogni giudizio estetico, eticamente indigeribili. Fogazzaro, al contrario, veniva stimato «divino» e Piccolo mondo moderno un’opera ricca di «pagine tra le più sublimi che siano mai state scritte nella letteratura moderna». Il premiato italiano sarebbe stato dunque sicuramente lui, se solo avesse trovato in Italia qualche autorevole patrocinatore disposto a fare il suo nome. La qual cosa non accadde, mentre invece continuavano a piovere a Stoccolma proposte a favore di Carducci. E tra queste, ironia della sorte, anche una firmata dall’ingenuo antagonista.
L’Accademia rimase tuttavia sulle proprie posizioni, nonostante la difficoltà di motivare con ragioni letterarie una opzione così discutibile. Una buona pezza d’appoggio si trovò all’inizio del 1906, l’anno deputato alla sicura premiazione di un italiano: il poeta maremmano versava in gravi condizioni di salute e difficilmente sarebbe stato vivo a dicembre, mese previsto per la consegna del Nobel. Perfino il suo sponsor più influente, l’ambasciatore del governo svedese a Roma, barone Carl von Bildt, parve rassegnarsi e finì per sostenere lui stesso la candidatura di Fogazzaro. Il quale però, quando la questione pareva chiusa e i giochi fatti, commise il più clamoroso autogol.
Da pochi mesi era uscito infatti il romanzo Il santo, nel quale l’autore esprimeva la propria aspirazione a un cattolicesimo rinnovato sulla scorta delle posizioni più avanzate del modernismo. Alle polemiche suscitate dal libro in seno alla gerarchia ecclesiastica, Fogazzaro reagì asservendosi pubblicamente all’autorità della Chiesa. Dopo la condanna della Congregazione dell’Indice in aprile, si affrettò a fare atto d’obbedienza come imponeva il suo «dovere di cattolico». «Questa plateale sottomissione - racconta Tiozzo - ebbe eco in tutta Europa e venne considerata una scandalosa rinuncia alla libertà personale di pensiero e parola. Il mese dopo, Bildt faceva presente per iscritto all’Accademia che sarebbe stato disdicevole premiare chi aveva umiliato se stesso dinanzi ai papisti di Roma». Fu così che, uscito dalla porta, il nome di Carducci rientrò dalla finestra.

I giurati svedesi lo ripescarono e riuscirono bene a dissimulare quella che era una scelta obbligata. Al premiato ormai infermo, ma ancora vivo, giunse il 10 dicembre del 1906 a Bologna l’omaggio, forse poco sincero, «all’energia plastica, alla freschezza dello stile e alla forza lirica» della sua poesia.

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