Roma

Presìdi territoriali di prossimità, un fallimento annunciato

PARADOSSO Nel primo trimestre soltanto 37 ricoveri. E pensare che il San Giacomo con 7mila all’anno era «poco produttivo»

Al posto degli ospedali i presidi territoriali di prossimità (Ptp) con 15 posti letto, al posto dei medici tanti infermieri. E la riforma dell’assistenza sanitaria, progettata dall’Asp (Agenzia di sanità pubblica), è servita. Che dire però se nella fase preliminare della sperimentazione si sente già un forte odore di flop? L’agenzia presentando i dati che sintetizzano il lavoro svolto dall’unico Ptp in funzione, quello di Palombara Sabina nell’Asl Roma G, ha fatto sapere che nel 2008, da febbraio a dicembre, sono stati ricoverati presso quei posti letto 160 pazienti. Nel primo trimestre di quest’anno invece solo 37. Una quantità irrisoria per parlare di sperimentazione e soprattutto di servizio funzionale alla cittadinanza, se si pensa che una delle motivazioni addotte dalla Regione per spiegare la chiusura del San Giacomo e dei suoi 130 posti letto è che 7mila ricoveri all’anno con almeno altri 25mila accessi al pronto soccorso erano poco produttivi. E allora a che livello di produttività si collocano 37 ricoveri in tre mesi?
Numeri così difficilmente potranno convincere gli utenti del servizio sanitario regionale che i Ptp potrebbero essere una valida alternativa di assistenza nei casi di patologie cosiddette non acute. Inoltre non c’è da dimenticarsi che per mettere su 15 posti letto a degenza infermieristica occorre personale specializzato opportunamente formato, ciò che comporta dei costi tutt’altro che esigui. «Sarà difficile convincere la cittadinanza ad abbandonare la cura ospedaliera per recarsi nei presidi territoriali ed essere affidati a un infermiere piuttosto che a un medico - commenta Giuseppe Lavra, segretario regionale della Cimo - non è l’affezione all’ospedale piuttosto è il fatto che nei Ptp viene data un’assistenza all’acqua di rose e in caso di acuzia, nel presidio, non ci sono neppure i mezzi necessari per diagnosticarla. Sono risorse sprecate».
E infatti per mettere su un servizio siffatto servono almeno quindici operatori sanitari di cui un medico, un infermiere dirigente, altri cinque infermieri, sette operatori socio-sanitari, un tecnico per la riabilitazione e un assistente sociale. In più, a discrezione del dirigente infermiere a seconda di alcune patologie, si può contare sulla consulenza di uno o più specialisti medici a chiamata. Già, ma a parte la funzionalità specifica, ossia quella di prestare cure a malati cronici in età avanzata con terapie che non sono da considerarsi ospedaliere ma piuttosto ambulatoriali, per questo modello di sanità non si può parlare esplicitamente di risparmio. Eppure la Regione vuole continuare a tenere alta la bandiera delle cure infermieristiche. «L’attività svolta da Palombara è solo agli inizi. E i pazienti che si sono rivolti a noi sono stati contenti delle prestazioni ricevute. Quanto agli oneri - spiega Giovanni Di Pilla, direttore generale dell’Asl Roma G - dobbiamo dire che il ricovero nel presidio territoriale costa un terzo rispetto a quello ospedaliero». Questo secondo il manager; invece secondo l’Asp - come ha spiegato Maurizio Zega - i costi specifici non sono ancora stati quantificati sul ricovero perché si sta sperimentando un nuovo modello. Insomma la Regione si impegna a risparmiare, ma non sa quanto risparmierà davvero.

Intanto però nel piano sanitario regionale di Ptp a degenza infermieristica ce ne sono altri 29.

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