Mario Attanasio
da Milano
Rischia di diventare una corsa contro il tempo la scelta del successore di Maurizio Sella alla guida dell'Abi, la Confindustria del credito. La definizione della prossima squadra di Governo e le riflessioni dei banchieri sul futuro dell'associazione di categoria (che proseguiranno stamattina nel Comitato esecutivo a Milano) stanno riducendo all'osso i giorni a disposizione dei saggi. Ecco perché i cinque banchieri chiamati a individuare il nuovo Presidente dell'associazione hanno messo a punto una inedita tabella di marcia che prevede una spartizione ferrea delle consultazioni. Il tutto è stato definito alcune settimane fa, in una riunione tra gli stessi «cinque». Il pallino, a questo punto, sarebbe in mano a Giovanni Bazoli al quale toccherà sondare «in esclusiva» le grandi banche, e cioè Sanpaolo, Unicredit, Capitalia, Monte dei paschi di Siena e Banca nazionale del lavoro. Che, insieme con Banca Intesa (di cui Bazoli è Presidente), devono trovare un accordo sul nome da proporre nell'esecutivo di giugno. Con una deroga per il banchiere bresciano e Sella, il meccanismo prevede che i saggi non siano chiamati a consultare banchieri del proprio settore. E così Elio Faralli (Popolare dell'Etruria) non avrà contatti con esponenti delle popolari, Antonio Patuelli (Cr Ravenna) con quelli delle casse di risparmio e Camillo Venesio (Banca del Piemonte) con i leader delle cosiddette banche private. I colloqui partiranno la prossima settimana.
Quanto al nuovo Governo, si aspetta, in particolare, la nomina del ministro dell'Economia: Tommaso Padoa Schioppa, candidato numero uno, entrerebbe quindi in gioco per il futuro dell'Abi. Anche se non è previsto alcun tipo di passaggio formale con Via XX Settembre, infatti, i top banker, secondo quanto risulta al Giornale, sono intenzionati ad avere una sorta di «benestare» dal loro ministro di riferimento, vero «interlocutore forte del mondo del credito nel prossimo futuro», alla luce dello «spezzatino» di competenze tra Banca d'Italia, Antitrust e Consob, creato dalla legge sul risparmio.
Ma è il bilancio in rosso del 2005 il piatto forte del direttivo di oggi. I conti di Palazzo Altieri dello scorso anno, infatti, registrano una perdita di 1,2 milioni di euro. Le spese hanno sforato 40 milioni, ma il rimedio c'è già: la relazione che sarà illustrata al vertice dei banchieri prevede come già successo in passato l'utilizzo delle riserve iscritte a bilancio. Non sono bastati, insomma, i 38,1 milioni di euro che gli istituti hanno versato nelle casse dell'Abi, tra contributi ordinari e straordinari. A scorrere la «relazione sulla gestione», si scopre pure che gli stipendi pesano per oltre il 50% (24 milioni). E che nel proprio patrimonio (72 milioni totali) l'Abi ha oltre 25 milioni di euro di partecipazioni in varie società del settore creditizio, tra cui i 6,9 in Sia (Società interbancaria per l'automazione) di cui l'associazione ha già deciso di liberarsi.
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