Pressing di Ue e Fmi sulla Grecia: «Basta aiuti, è l’ora delle riforme»

Jean-Claude Juncker è sempre più isolato. Sulla proposta lanciata dal presidente dell’Eurogruppo di concedere alla Grecia la chance di ristrutturare il debito in modo morbido (cioè senza tagli del capitale), si è abbattuta anche ieri una pioggia di no. Da quello reiterato dalla Bce attraverso le parole di due componenti di punta del consiglio come Lorenzo Bini Smaghi e Juergen Stark, a quello pronunciato dal Fondo monetario, malgrado il vuoto di potere lasciato dall’arresto di Dominique Strauss-Kahn. E Angela Merkel, già poco incline verso ogni ipotesi di riscadenzamento del debito, si è fatta ancor più dura: i greci, ma anche spagnoli e portoghesi, devono pensare a lavorare più a lungo, altro che andare in pensione prima dei tedeschi.
In questo crescendo di toni dissonanti si possono cogliere due aspetti. Il primo chiama in causa il modello di comunicazione sgangherato, scoordinato e frutto dell’iniziativa dei singoli spesso in uso a livello europeo. In periodi meno delicati, l’anarchia dialettica non fa danni. Ora come ora, c’è invece il fondato rischio che i mercati non la prendano tanto bene. Non a caso, Bini Smaghi è stato particolarmente aspro: «L’ipotesi della ristrutturazione soft è una soluzione errata al problema del debito perché a voler ben vedere non si capisce bene cosa sia. Dato il modo in cui funzionano i mercati, bisogna stare attenti a lanciare idee senza averle studiate e avere capito che cosa vogliono dire». Starck ha poi rincarato la dose: «Quell’idea sarebbe una catastrofe».
In realtà, l’orientamento generale sembrerebbe privilegiare il pressing su Atene, affinchè siano accelerate le riforme e in particolare le privatizzazioni, che potrebbero garantire già quest’anno un introito attorno ai 15 miliardi di euro, sui 50 complessivi previsti. E proprio ieri, il governo Papandreou ha nominato gli advisor per le dismissioni. Deutsche Bank e National Bank dovranno esprimere il loro parere sul piano di vendita del 34% della quota in Opap, la più grande compagnia di gioco europea, per un valore pari a 1,5 miliardi a prezzo di mercato. Altri, tra cui Hsbc, Bnp Paribas, Crédit Suisse, Ernst and Young, Rothschild&Sons e Citigruop, si occuperanno invece dei progetti di vendita delle concessioni autostradali, della compagnia energetica Depa, delle frequenze, delle ferrovie e degli immobili.
Lo stesso governo greco scarta del resto l’ipotesi di una ristrutturazione del debito, che «non è una soluzione magica», ha detto il ministro delle Finanze, George Papacostantinou. Mentre continua l’ispezione nella capitale degli 007 di Ue, Bce e Fmi, nuovi scontri tra dipendenti del Comune e la polizia sono scoppiati ieri davanti al Parlamento. In questo clima di tensione, nei prossimi giorni l’esecutivo annuncerà ulteriori sacrifici per un valore di sei miliardi, anche se stavolta le misure non toccheranno stipendi e pensioni. Secondo Poul Thomsen, capo-delegazione dell’Fmi ad Atene, non ci sono scorciatoie: il programma di aiuti «rischia di deragliare», se la Grecia non rafforzerà gli sforzi per aggiustare il bilancio e rinvigorire le riforme strutturali.
Considerati i deludenti risultati raggiunti finora dal Paese nell’azione di risanamento, suonano come una resa dei conti le parole della Merkel: «Non si tratta solo di non fare debiti.

Non possiamo avere una moneta comune e poi alcuni di noi hanno giorni e giorni di vacanze e altri pochissimi. Si tratta anche del fatto che in Paesi come la Grecia, la Spagna e il Portogallo non si può andare in pensione prima che in Germania».

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