
Le radici restano ancorate alla tradizione di un Paese che ha fatto del Made in Italy un brand unico al mondo ma oggi è la tecnologia nelle mani dei più giovani la via per innovare i comparti e rilanciarsi sui mercati. Soprattutto per l'agricoltura. È intorno a questo fil rouge che, sotto l'egida «Di chi siamo figli noi», si è dipanato il primo panel moderato da Stefano Zurlo nell'incontro veronese del Giornale e Moneta. Della necessità di «innovare senza stravolgere» è sicuro Luigi Scordamaglia (ad Filiera Italia), che lega le dinamiche produttive allo scenario internazionale: «Oggi a livello globale siamo di fronte a una sfida: varrà una dieta omologata che promuovo le grandi multinazionali della chimica oppure varrà la nostra distintività? Noi rappresentiamo un modello alimentare che si propone al mondo come quello più longevo ed efficace». Diverse parole ma stessa visione per la presidente di Coldiretti Donne Impresa, Mariafrancesca Serra, secondo la quale «la parola agricoltura come viene intesa oggi è riduttiva. Non è più solo un settore economico ma rappresenta cultura e identità, è un hub che ha un ruolo sociale, che combatte lo spopolamento e rende possibile la rivitalizzazione delle aree rurali». E il simbolo di cambiamento per una volta è ben rappresentato dai numeri: oggi nell'agrifood lavorano circa 200mila donne (il 25% delle quali laureate), che legano gli strumenti tecnologici alla cultura tradizionale. «Giovani e donne reinventano le aziende anche perché trovano un settore in espansione, nel quale ci sono prospettive di successo e guadagno, e perché vogliono tornare alle proprie origini per radicarsi al territorio. Così sfruttano le legge sull'orientamento per connettere alle attività principali tanti altri business come fattorie didattiche, turismo, vendita al dettaglio», continua Serra.
E i mutamenti in atto nel comparto si riflettono anche sulle possibilità di investimento. «Come operatori finanziari notiamo un grande e diffuso meccanismo di cooperazione - spiega ad esempio il condirettore generale di Banca Ifis Raffaele Zingone - e in questo contesto i fondi si stanno abituando anche a orizzonti più lunghi, superiori ai cinque anni. Oggi i piccoli produttori hanno la possibilità di esportare i prodotti su piattaforme internazionali conservando i ricavi». Ma in un contesto come quello agroalimentare nel quale i valori dell'uomo e del capitale naturale devono tornare al centro della filiera è necessario riprendere il filo di una sovranità alimentare perduta in tutta Europa. «Abbiamo avuto una commissione europea che ha provato a smantellare un intero sistema produttivo legato all'automotive, all'energia e anche al cibo - attacca Scordamaglia - Noi non ci siamo snaturati e nonostante il momento critico l'agroalimentare segna ancora un +5/6%. Si pensava che quella globalizzazione a cui tanti credevano in maniera ideologica potesse decostruire la nostra filiera, oggi se non impariamo dal passato non avremo futuro. E se l'Europa vuole trasformarsi in un mercato passivo è sulla strada giusta».
E di fronte ad una nuova commissione Ue che pare abbia cambiato linguaggio e voglia confrontarsi, Scordamaglia chiosa senza giri di parole: «Dobbiamo capire se quanto detto finora siano solo parole o se si farà seguito con elementi concreti che partano dagli equilibri finanziari. Altrimenti l'Europa sarà condannata all'eterna ininfluenza».