Roma Anche la politica farà la sua parte. La stagione di lacrime e sangue segnerà pesantemente anche il Palazzo. E in maniera netta, senza sotterfugi o azioni diversive. La manovra del governo Berlusconi, infatti, si ricorda anche dei parlamentari e della Casta. Dalle tasche dei primi fin da subito farà uscire il contributo di solidarietà. Da sotto il fondoschiena della seconda, invece, verrà tagliato un gran numero di poltrone. E tutto questo grazie a due disegni di legge costituzionali. Dal lungo confronto di Villa San Martino, insomma, spunta alla fine anche un atto simbolico e concreto a un tempo che consegnerà al Paese una gestione virtuosa del denaro pubblico anche per i prossimi anni.
Per quanto riguarda la realizzazione immediata di un risparmio economico, il risultato è blando. Il segnale, però, di un cambiamento radicale del «sistema politico» è netto: dimezzato il numero dei parlamentari e cancellate tutte le Province, le cui competenze verranno spostate sulle Regioni. Non saranno, però, gli impiegati e in genere i dipendenti di queste amministrazioni locali a rimetterci. In virtù del disegno di legge costituzionale saranno, piuttosto, i consiglieri e gli assessori delle 107 Province a tornare a casa. E, fatti due conti, il risparmio - quando la riforma costituzionale sarà approvata dalle Camere ed entrerà in vigore - non sarà di poco conto. Intanto anche questi due ddl costituzionali un risultato immediato lo hanno ottenuto: tagliare le gambe alle obiezioni dell’opposizione. In fondo, già qualche giorno fa, lo stesso ministro Roberto Calderoli aveva bofonchiato: «Le Province? O tutte o nessuna». E così è stato. O meglio: così sarà. Con buona pace di chi (Pd e Terzo Polo su tutti) pensava maliziosamente che alle proposte non sarebbero seguiti i fatti. Tanto che la stessa coalizione formata da Fli, Api e Udc ieri aveva messo tra i punti della sua manovra «alternativa» quello dell’abolizione delle Province sotto i 550mila abitanti in modo da farle passare da 107 a 37. Mettere nero su bianco che si procederà al taglio completo di quegli enti locali da molti considerati inutili evidentemente non basta ancora. E c’è chi come Pier Ferdinando Casini, insiste nel bocciare le intenzioni del governo parlando di «manovra confusa e pasticciata» che rimanda, oltretutto, in un futuro incerto la riforma del capitolo V della Costituzione. Italo Bocchino (Fli) e Francesco Rutelli (Api) gli fanno eco. La nostra manovra permetteva il taglio immediato di un buon numero di Province. In questo modo - spiegano i due - bisognerà aspettare una riforma costituzionale che difficilmente, visti i suoi tempi fisiologici, potrà essere varata entro la fine di questa legislatura. Ci va giù più duro Antonio Di Pietro (Idv) che, intervistato da La7, boccia senza riserve le intenzioni del governo riguardo ai due disegni di legge costituzionale. «Le modifiche si fanno, non si annunciano che si faranno prossimamente su questo schermo - tuona l’ex pm di Mani pulite - abbiamo sempre sostenuto che le Province vanno abolite tutte, e infatti stiamo raccogliendo le firme, per intanto è ipocrita dire che siccome costituzionalmente le vogliamo abolire, intanto non le aboliamo». Difficile, però, capire come una raccolta di firme per l’abolizione delle Province possa ottenere risultati più tempestivi di quelli annunciati da Palazzo Chigi. Per quanto riguarda, poi, il contributo di solidarietà a carico dei soli parlamentari, sono in molti anche nella maggioranza a notare che si tratta di un effetto blando dal punto di vista del concreto risparmio economico. Tuttavia il suo valore simbolico è tutt’altro che trascurabile. Dai calciatori ai dipendenti pubblici, tutti avevano tuonato contro questa forma mascherata di tassa. E il risultato finale è stato proprio quello di abolirla lasciandola però a carico di deputati e senatori.
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