Politica

Il prete rosso che digiuna contro le basi Usa

Nella grande Chiesa «che parte da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa», il «prete rosso» gioca centravanti. Don Albino Bizzotto, portatore del soprannome di Vivaldi e del terzomondismo di Jovanotti, è «il prete in periferia che va avanti nonostante il Vaticano». È il padre ribelle a gerarchie ecclesiastiche e governi, il religioso tutto lotta e pauperismo che piace a sinistra. E in queste vesti poco talari il 70enne don Bizzotto è tornato ad agitare il vincastro davanti al suo gregge disobbediente, giungendo al tredicesimo giorno di digiuno contro la base americana Dal Molin a Vicenza.
Don Bizzotto è uno vero. Uno che si sporca le mani tra rom e tossici e che in 25 anni tra i «Beati costruttori di pace», l’associazione che ha creato, non ha mai peccato di incoerenza. Ecco, magari un pochino di protagonismo, dato che non c’è dibattito, manifestazione o sciopero a cui non partecipi. Per il consumo critico, per l’Africa, contro i missili Cruise; Longare, Ederle, Aviano, non c’è base militare del Triveneto che non lo abbia visto predicare. E non c’è tema politico su cui non abbia parlato.
Il digiuno di questi giorni, annunciato in polemica contro «un agosto in cui possono passare senza reazioni le peggiori scelte dei governi», è solo l’ultimo suo gesto di protesta. Anche radicale, come i treni fermati e i cortei conclusi contro gli idranti della polizia. Non le imprese dell’ex sacerdote no global don Vitaliano, ma comunque un curriculum di rispetto. Don Bizzotto però preferisce la tecnica degli appelli (come quello per un 2 giugno senza parate militari), delle lettere e dei discorsi contro tutti, magari dalle colonne di Liberazione, il quotidiano di Rifondazione comunista per cui scrive. La sua indignazione di uomo «derubato della Costituzione italiana» va dal «degrado aggressivo della vita pubblica» al nucleare «concentrato di potere che ricatta le popolazioni», dallo «spauracchio della sicurezza usato machiavellicamente per vincere le elezioni» alla «Chiesa che si concentra su vertici e potere». Sarà che da giovane ha insegnato nel liceo artistico padovano di via Canal, un «covo anarchico» dal quale la diocesi lo strappò via con un provvedimento disciplinare, ma don Bizzotto tende a confondere prediche e comizi. Tanto da tuonare su Radio Cooperativa contro la «distruzione dello stato sociale» e «la legge-sicurezza che discrimina e criminalizza i più poveri». Il tutto al grido di: «Faremo il possibile perché sempre più cittadini pratichino la disobbedienza pubblica».
Galeotta fu una visita in Sudamerica, da cui tornò nemico delle super PrePotenze occidentali. Così per lui l’11 settembre insegna agli Usa come «il ricorso alla forza renda vulnerabili». Roba forte, ma non come quella lettera inviata ai vescovi: «Benedire navi da guerra e definire “eroi della patria” i caduti di Nassirya non è forse segno dei tempi all’incontrario?». Perché anche la Cei è uno dei suoi bersagli, insieme al cardinal Ruini, i cui «silenzi ed esternazioni sconcertano e scandalizzano». Ed è forse la predisposizione all’insubordinazione contro l’alto clero a fare di questo sacerdote un eroe da centro sociale. Il suo celebrare un matrimonio civile tra divorziati perché «la Chiesa deve superare il suo accanimento», il suo teorizzare che «Gesù è felice se gli uomini sono felici, anche se non seguono la morale cattolica», il suo spendersi a favore del referendum sulla procreazione assistita perché è sbagliato «preferire cattolici obbedienti e ignoranti a persone libere e coscienti»: atti di ribellione a una Chiesa di magistero.
Ma le regole a don Bizzotto piacciono meno di quella base americana per la quale attaccò anche Prodi, definito «padrone d’azienda». Quella base per cui ora digiuna in una roulotte davanti a telecamere di cui il suo spessore umano non ha bisogno e che gli fanno scordare l’evangelista Matteo: «Quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».

Magari con qualcosa di meno effimero di un servizio di tiggì.

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