Acque agitate in viale Mazzini. I dipendenti Rai sono sul piede di guerra perché pare ormai certo che questanno non sarà pagato il «bonus» altrimenti detto «premio di risultato». Si susseguono le riunioni e dopo lultimo incontro a vuoto di giovedì scorso sono partiti cortei nei corridoi sino allagitata assemblea di ieri, con sciopero ormai sempre più probabile. Il direttore Masi è pressoché cinto dassedio. Dato che loggetto del contendere è un assegno sostanzioso di circa 1500 euro a dipendente, si può capire il disappunto dei lavoratori nel vedersi volatilizzare la succosa cifra che negli anni passati era stata tranquillamente intascata, ma di quale «risultato» si sta parlando? Molto semplice: nessuno.
La Rai produce immagini e parole ma lunica parola che risulta sconosciuta in azienda è «profitto». Nonostante usufruisca di una specie di «tassa ad aziendam» qual è il canone, si è avuto il paradosso che nei mesi scorsi si sia festeggiato il fatto di perdere «solo» poco più di 100 milioni (nel 2009 dovrebbero essere 45) invece dei più di 200 che si paventavano. Non si contano poi i debiti verso fornitori, la reale consistenza è una specie di mistero ma i numeri ufficiali bastano a far segnare la lista dei pagherò nei pressi del miliardo di euro, cifra tonda e discretamente preoccupante.
Diciamolo chiaro, se non si trattasse di unazienda statale la Rai sarebbe fallita da un pezzo e a questo punto va fatta una riflessione su quale sia il senso di un «premio di risultato» in unazienda statale in perdita perenne. Diciamo subito che gli incentivi ci vogliono. In unottica anglosassone il primo incentivo sarebbe il mantenimento del posto di lavoro: o si portano risultati oppure quella è la porta, dal top manager allultimo dei dipendenti, tanto di gente anche qualificata che vuol lavorare cè la fila. Da noi sappiamo benissimo che la situazione è molto diversa e il licenziamento è praticamente impossibile, quindi è giocoforza proporre degli incentivi. Ma quale incentivo potrà mai essere un premio generalizzato a tutti i dipendenti? Nessuno, si tratta semplicemente dellottenimento per via sindacale del migliore dei mondi possibili: posto fisso come il pubblico e bonus come il privato, ovviamente uguale per tutti perché un po di appiattimento sinistro non guasta mai. Una specie di rivendicazione di privilegio stile anni 70, un «sei politico» applicato alla busta paga. Ovviamente i «premi di risultato» non sono unesclusività della Rai, ma finché si tratta di aziende private la cosa rientra nelle scelte della proprietà che può liberamente decidere di confermarlo anche in anni di «vacche magre», ma in presenza di bilanci in perenne sofferenza e pagati sia direttamente (in caso di ripianamento perdite) che indirettamente (con il canone) dal pubblico si avverte un certo senso di fastidio. Lincentivo corretto (dato che sicuramente anche in Rai e nel pubblico impiego ci sono ottimi professionisti e lavoratori volenterosi) sarebbe magari un bonus più ricco ma da assegnare solo a, poniamo, il 20% dei dipendenti per ogni livello di inquadramento in modo da premiare il merito. I dipendenti Rai ovviamente non ci stanno a prendersi la totalità colpe della situazione e puntano, con qualche ragione, il dito contro alcune assunzioni di dirigenti, contro le promozioni facili e contro lesternalizzazione di lavori che potrebbero essere svolti internamente.
Tutto molto giusto ma il peso vero che incide sui conti della tv pubblica è, purtroppo per i lavoratori Rai, la loro stessa presenza: gli impiegati Rai sono ottomila in più di quelli Mediaset a fatturati paragonabili. Dato che il costo del lavoro pro capite è circa 75mila euro abbiamo un gap con il rivale privato di circa 600 milioni in più solo di costo del lavoro.
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