Roma - Poteva essere, doveva essere, la cena che avrebbe dovuto riannodare il filo del dialogo, della concertazione, fra governo e sindacati dopo lo «strappo» della Finanziaria. L’operazione che aveva in mente Romano Prodi, però, riesce meno della metà. Nella cena a Palazzo Chigi (in 13 a tavola), il presidente del Consiglio ed il ministro dell’Economia non mettono sul piatto le risorse che Cgil, Cisl e Uil chiedono per far ripartire la crescita. Padoa-Schioppa fa chiaramente capire che il bilancio dello Stato non consente di allargare i cordoni della borsa per introdurre sconti Irap da spendere per favorire la produttività. Dell’argomento della crescita, così, si parlerà in tre tavoli distinti (welfare, pubblico impiego, misure per lo sviluppo) che verranno aperti fra dieci giorni: annuncia Santagata. «Niente di deciso», precisa Paolo Ferrero. «Solo un incontro di metodo».
In realtà, riforma delle pensioni diventa la portata più indigesta di tutta la cena. E per farla andare di traverso, basta un assaggio. A tirare fuori l’argomento è Padoa-Schioppa. Forte dei richiami di Almunia, il ministro insiste sulla necessità di un intervento sulla previdenza. Ai commensali, il ricorda il parere della Commissione europea sui conti pubblici italiani. Il parere dice che i conti sono in ordine, ma anche che bisogna dare piena attuazione alla riforma Tremonti-Maroni. Insomma, Bruxelles chiede un aumento dell’età pensionabile per approvare il risanamento della finanza pubblica. Pronta la replica di Raffaele Bonanni della Cisl: all’Europa si possono dare anche altre risposte che non siano le pensioni.
Poco importa se poche ore prima, a Domenica In Cesare Damiano aveva detto: non innalzeremo l’età pensionabile. Formula che può strappare il consenso di Paolo Ferrero. Ma che preoccupa Bruxelles (come gli ricorda, in privato, Padoa-Schioppa). E, soprattutto, i sindacati. E non poco.
Da giorni gli sherpa del governo e quelli della Cgil, Cisl e Uil sono in contatto per preparare l’incontro di ieri sera. La parola d’ordine era: parliamo di tutto, ma non di pensioni. La preoccupazione di fondo non era che durante la cena potessero emergere differenze all’interno del governo sul come intervenire sulla previdenza. Ma che si marcasse la netta divisione fra governo e sindacati sugli strumenti da adottare.
Cosa puntualmente avvenuta a tavola. Padoa-Schioppa, Damiano, ma anche Bersani e Prodi, fanno capire che se si vuole eliminare lo «scalone» previsto dalla riforma Tremonti-Maroni, bisogna tornare alla Legge Dini del 1995. In tal caso, però, è necessario rivedere i coefficienti di rivalutazione pensionistica.
Cgil, Cisl e Uil vivono con l’incubo dei fischi di Mirafiori sulla Finanziaria. Il taglio dei coefficienti di calcolo dell’assegno previdenziale finirebbe per ridurre la pensione ai futuri pensionati. Con la conseguenza che i rischi di una contestazione della base ai vertici sindacali potrebbe farsi sempre più forte. «Di revisione dei coefficiente non se ne parla nemmeno», tuona il leader della Cisl. Le risorse per coprire i mancati risparmi della riforma Maroni le avete con l’aumento dei contributi: sostiene Angeletti, sostenuto da Epifani e Bonanni. Il ministro dell’Economia scuote la testa, ma tace. Prodi lo aveva invitato apertamente (nella riunione pomeridiana a Palazzo Chigi) ad evitare attriti con i sindacati.
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