«Primarie truffa: il risultato è già stabilito»

Massimiliano Lussana

da Genova

Dal cilindro dialettico di Fausto Bertinotti esce una novità assoluta: «Il governo del conflitto sociale». Formula bella e impossibile da capire a fondo senza un esempio pratico: «Il nuovo esecutivo, se vuole andare avanti, dovrà dire che ha bisogno dei movimenti e del conflitto sociale. Penso, ad esempio, agli scioperi. La nostra preoccupazione non dovrà essere quella di condannare gli scioperi, ma di sentire cosa non va e ragionare con i lavoratori sui motivi degli scioperi, per superarli. Non limitarli. Se avessero fatto qualche sciopero in più con il governo Prodi, staremmo meglio tutti e, forse, sarebbe stato meglio anche il governo Prodi». Oppure, la ricerca di una soluzione politica per tutti i reati legati al mondo no-global, ma non solo: «Ci sono 15mila persone sotto processo per reati di opinione o sociali. Ma il conflitto è ricchezza, non un problema». E dal punto di vista economico? Di patrimoniale non si parla («Nemmeno sotto torchio userò termini fuorvianti»), ma l’elegante sinonimo, con particolare riferimento alle transazioni di Borsa, è l’«aggressione alla rendita», per salvare i salari. Non «un programma di lacrime e sangue per risanare i bilanci».
Eppure, prima, nella conferenza stampa con i giornalisti, Fausto Bertinotti era stato quasi moderato, vellutato, pronto ad arrotare, oltre alle erre, anche le divergenze che in questi giorni stanno allontanando Rifondazione dal resto del mondo dell’Unione. I litigi su Afghanistan e Kosovo? «Ci sono divergenze, ma troveremo un punto di unità». Le discussioni sul ritiro delle truppe dall’Irak? «È un problema dell’ambasciatore americano e, magari, di qualche singolo esponente dell’Unione. Ma sono fatti loro. L’Unione ha già deciso cosa farà quando andrà al governo». Le agenzie di stampa piene di botta e risposta sulla legge elettorale proporzionale? «Siamo tutti d’accordo: è giusto che Berlusconi risponda agli elettori con le stesse regole che l’hanno mandato al governo». Sì, ma dopo? «Io resto proporzionalista e non ho paura a ribadirlo. Ma ritengo la discussione che è stata innestata da alcuni esponenti dell’Unione inutile, sfasata e fuorviante».
Ma, per l’appunto, questo è il Bertinotti per i giornalisti, un Bertinotti in sedicesimo. Il Fausto più caldo, più trascinante, più vero e sincero, va in scena invece nell’intervista pubblica - nell’atrio del Palazzo Ducale di Genova - firmata dal direttore di Primocanale Mario Paternostro, da don Andrea Gallo e dallo scrittore Maurizio Maggiani. Con la partecipazione straordinaria del leader dei disobbedienti meridionali Francesco Caruso; di Giuliano Giuliani, padre di Carlo; e di Luis, un emigrato regolare a Genova. Insomma, un cast pesante.
A rendere l’appuntamento un kolossal ci pensa però proprio Bertinotti, raccontando il governo prossimo venturo dopo che Maggiani gli rivende la solita vecchia storia del governo Prodi andato in fumo per i litigi e per il «tradimento» di Rifondazione. Fausto sfodera la solita onestà intellettuale assoluta, la stessa che aveva nel 1996, quando Rifondazione aveva un programma alternativo a quello del Professore, ma il centrosinistra fece passare la vulgata di Fausto il traditore: «Ma smettiamola con questa mistificazione! Vogliamo ricordarlo oppure no che Prodi fece tutta la campagna elettorale dicendo che non avrebbe mai governato con i voti dei comunisti? Lo urlava ovunque e chiese i voti su un programma radicalmente alternativo al nostro. Poi, per senso di responsabilità e senza chiedere nulla in cambio, lo appoggiammo per due anni e mezzo, finché ci fu possibile. Ma il programma era il loro, non il nostro. E chiamare di sinistra quel governo, francamente, mi pare una grossa esagerazione».
Fausto e Rifondazione faranno di tutto perché questa volta non sia così. «Chiunque vincerà le primarie, pretenderemo che i segretari dei partiti, me compreso, siano esautorati dalla scrittura del programma, che deve spettare alla base. Il piano sul lavoro? Lo scriveranno i lavoratori, la Fiom, i Cobas, i sindacati, non io. Oppure, la posizione sui Pacs: lo dice la parola stessa, non spetta a Rutelli occuparsene, ma alle coppie di fatto. O, ancora, come affrontare il caso G8 con una commissione: saranno i ragazzi che erano per strada a Genova a stabilirne i poteri, non le segreterie dei partiti nel chiuso di una stanza. Il nostro piano prevede il rifiuto totale del concetto stesso di delega».
Anche perché, spiega il leader rifondatore, «le basi per le peggiori leggi del centrodestra sono venute da quelle approvate dal centrosinistra, ingigantite dal governo Berlusconi. La legge 30 sul lavoro precario nasce dalla legge Treu; la Bossi-Fini è l’evoluzione della Turco-Napolitano e la legge Moratti, che reintroduce la scuola di classe, ha le sue origini nell’aziendalismo della riforma di Berlinguer». Insomma, il rischio peggiore è quello di «una sinistra che fa una politica che assomiglia un po’ a quella di destra, che farebbe tornare il pendolo verso destra. E, a queste condizioni, noi non ci staremmo».

In vista del futuro: «Una forza politica europea che pensi al superamento del capitalismo».
Insomma, nel 1996, si era quasi scherzato. Stavolta, Fausto, vuol fare sul serio. Chissà se diranno anche questa volta che non lo sapevano.

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