Un primo piatto anche nelle vendite

Cosa faremmo in Italia se ci togliessero la nostra cara pasta? Non è un caso che spesso all’estero siamo identificati con un suo formato come spaghetti o maccheroni. Vero è che questa pietanza che ogni giorno fa capolino in tutte salse sulle tavole di milioni di connazionali, proprio in un momento di crisi come quello attuale, ritorna a essere prodotto di punta nella nostra alimentazione tanto che nella prima parte del 2012 si è registrato un aumento nelle vendite pari al 4,7%.
Questo dato risalta chiaramente dall’analisi di Coldiretti, Legacoop Agroalimentare e Coop diffusa in occasione della recente presentazione della «prima pasta tutta italiana dal campo allo scaffale». Gli italiani, è su questo non c’era alcun dubbio, ne sono i maggiori consumatori mondiali con circa 26 chili a testa nell’ultimo anno, una quantità che è stata tre volte superiore a quello di uno statunitense, di un greco o di un francese, cinque volte superiore a quello di un tedesco o di uno spagnolo e sedici volte superiore a quello di un giapponese. E dopo di noi, ai posti d’onore sul podio dei mangiatori di pasta si piazzano, sempre secondo questa ricerca, il Venezuela con 13 chili e la Tunisia con 12 chili. Questo vuol anche dire che nella Penisola si consumano ogni anno oltre 1,5 milioni di tonnellate di pasta, per un controvalore di 2,8 miliardi di euro.
Siamo in pole-position anche nella produzione con 3,2 milioni di tonnellate seguiti a distanza dagli Stati Uniti con 2 milioni di tonnellate, Brasile con 1,3 milione di tonnellate e Russia con 858 mila. Nel corso del 2011 sono aumentate dell’8% le esportazioni in valore di pasta italiana nel mondo con un aumento record del 60% verso la Cina dove, peraltro, la domanda è ancora contenuta. Oggi la nostra pasta fa parte dei menu di tutti i continenti con 2 miliardi di valore dell’export. I suoi consumatori più convinti sono, nell’ordine, i tedeschi, francesi e inglesi, seguiti da statunitensi e giapponesi.
Il boom della pasta ha significato incremento anche delle semine di grano duro in Italia che dovrebbero segnare nel 2012 un aumento di circa 150 mila ettari (più 13% su base annua), ammontando complessivamente a 1,35 milioni di ettari, sulla base di un’indagine Ismea. A livello regionale si stimano aumenti rilevanti in Puglia e nelle Marche (più 15% circa) e in Sicilia (più 20%).
Anche per la pasta, l’italianità è un fattore di grandissima importanza nella considerazione del prodotto. Secondo un sondaggio online condotto dal sito di Coldiretti nella sua scelta il 56% dei consumatori considera fondamentale che sia made in Italy, il 26% dà più importanza al formato, l’11% al prezzo e solo il 7% alla marca famosa.
Numeri che ci fanno capire che la pasta è la madre di tutte le pietanze, almeno per gli italiani. A cominciare dal dato iniziale dei 26 kg l’anno: significa che ognuno di noi ne mangia più di 70 grammi al giorno senza stancarsi mai.
Una scelta culturale oltre che gastronomica e se vogliamo anche pratica. La pasta è facile da cucinare, si può preparare con una serie pressoché infinita di condimenti legati anche alle stagioni, ha tantissimi formati, costa poco ed è anche un gustoso collante per la vita sociale, non fosse altro perché consente di imbastire una cenetta in pochi minuti.

Dalla Valle d’Aosta alla Sicilia è facile ricevere, da parte di un amico, un invito di questo tipo: «Vieni da me che ci facciamo due spaghetti veloci!». Con un investimento di tempo e denaro minimo, l’appetito è appagato e la serata risulta più gustosa che mai.

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