Comincia oggi una visita che per una volta non è esagerato definire storica. E’ quella di Chen Yunlin, direttore dell’ufficio per gli affari di Taiwan della Repubblica Popolare cinese, nell’isola che da 59 anni sfida la pretesa del regime comunista di considerarla nulla più che una provincia ribelle. Chen è il più alto funzionario di Pechino a recarsi a Taiwan dal 1949, anno in cui il leader comunista Mao portò vittoriosamente a termine la sua conquista del potere in Cina costringendo i nazionalisti di Chiang Kai Shek a rifugiarsi a Taiwan. E’ stato accolto con tutti gli onori dal governo di Taipei, guidato dal partito nazionalista Kuomintang, ma nel centro della capitale l’opposizione indipendentista ha dato vita a un sit-in di protesta che durerà tre giorni. L’ospite cinese, invece, si tratterrà per cinque giorni.
Voli diretti Chen avrà come interlocutore la Fondazione per gli scambi nello stretto di Taiwan: un piccolo stratagemma per parlarsi direttamente evitando però di coinvolgere in prima persona i rispettivi governi, che al momento si guardano bene dal riconoscersi. Sono già stati anticipati accordi su importanti questioni concrete: l’istituzione di voli diretti quotidiani tra le due sponde dello Stretto (oggi ogni collegamento tra Cina e Taiwan passa necessariamente da Hong Kong, con aggravi di spesa e perdite di tempo); il miglioramento dei servizi postali (chi invia un pacco oggi tra i due Paesi sa di dover aspettare in media una settimana); collaborazione in tema finanziario (la crisi internazionale ha dato in questo senso una forte spinta); azione concertata per affrontare le emergenze alimentari (tema molto caro all’opinione pubblica taiwanese dopo che si è scoperto che il latte importato dal continente era spesso inquinato dalla melanina).
Svolta politica Il viaggio di Chen a Taipei è la conseguenza di un cambiamento politico tra le “due Cine” reso possibile dalla vittoria alle presidenziali taiwanesi, nella scorsa primavera, di Ma Ying-jeou, esponente del Kuomintang, il partito erede dell’esperienza di Chiang Kai Shek. Ma è però diverso dai nazionalisti di cinquanta o trent’anni fa e incarna una svolta responsabile e coraggiosa, che fa seguito agli otto anni di governi degli indipendentisti di Chen Shui Bian, che avevano come priorità il sogno impossibile della proclamazione di uno Stato di Taiwan che non fosse più l’erede della Cina nazionalista sconfitta da Mao, ma solo – e orgogliosamente – lo Stato dei taiwanesi indipendenti. Un sogno impossibile, appunto, perché nemmeno gli stessi amici di Taiwan nel mondo (a cominciare dal più importante, gli Stati Uniti) erano disposti a sostenerlo, per non inimicarsi Pechino.
Il presidente Ma ha dunque scelto di dare al nazionalismo taiwanese un’impronta pragmatica, cercando di conseguire con lo scomodo vicino cinese la miglior possibile convivenza senza rinunciare alla propria indipendenza di fatto, che viene difesa “con le unghie e coi denti” (oltre che con un enorme arsenale). Un gioco diplomatico difficile, come nella tradizione di Taiwan: ma sembra che Pechino stia rispondendo con altrettanto pragmatismo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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