Trappola, inciucio. Antonio Di Pietro e Marco Rizzo, parlamentari ruspanti, hanno prontamente trovato nel loro limitato repertorio lessicale i termini con cui minimizzare, o piuttosto infangare, l'ultima dichiarazione di Silvio Berlusconi. Una dichiarazione con cui il leader di Forza Italia annunciava il voto contrario, in Parlamento, all'uso delle intercettazioni telefoniche riguardanti parlamentari coinvolti nella vicenda delle scalate bancarie. Non - lo sappiamo - parlamentari di seconda o terza fila, ma pezzi da novanta come Piero Fassino e Massimo D'Alema.
Berlusconi ha spiegato con molta chiarezza perché, essendogli stata offerta da Clementina Forleo l'opportunità di sferrare all'opposizione un colpo di quelli che fanno male, abbia invece deciso di rinunciarci. Lo ha fatto per coerenza: da garantista e da critico severo degli eccessi giudiziari non può associarsi a una procedura dalla quale viene confermato il fatto che «in Italia i cittadini sono sottoposti a sistemi di controllo telefonico che non hanno pari in nessuna democrazia del mondo».
È un punto di vista che può non essere condiviso. Ma quando è di scena il Cavaliere il dissentire non basta. Bisogna insinuare. Il complotto è dietro l'angolo, chissà cosa si prepara, forse stanno per entrare in scena i servizi deviati. Nemmeno l'evidente disaccordo, su questo specifico tema, tra Forza Italia e An, placa i sospetti. Sarà tutto, si ipotizza, un giuoco delle parti.
Invece non c'è nessun inciucio, nessuna trappola: e non è un giuoco, è una cosa maledettamente seria. Spesso e volentieri accusato di cercare la popolarità ad ogni costo, il Cavaliere ha scelto questa volta di non sacrificare i principi a una vittoria politica del momento. Una scelta che gli fa onore, e si deve deplorare che per l'imbarbarimento della politica italiana essa venga attribuita a motivazioni meschine. Non mancheranno, nel centrodestra, perplessità forti. Sono perplessità che capiamo: e che al garantismo rigoroso di Berlusconi oppongono il pragmatismo dei cittadini senza auto blu. I quali, disgustati dalle manovre di palazzo, provano un'acre soddisfazione se nel palazzo s'infiltra un'intercettazione. La privacy è sacra, ripugna l'uso indecente che si fa di pruriginosi pettegolezzi.
E tuttavia per i personaggi pubblici, gratificati da mille privilegi, il diritto alla privacy deve ritenersi secondo molti - me incluso - attenuato fin quasi a scomparire. È troppo comodo crogiolarsi nel bozzolo dorato dei vip e poi rivendicare l'oscurità dei signori nessuno. L'anonimo tartassato pensa sia tutto sommato buona cosa che egli stesso, e milioni d'altri come lui, sappiano delle conversazioni tra Fassino e Consorte e tra l'ex governatore di Bankitalia Fazio e i furbetti di quartierini e quartieroni. Sarà anche qualunquista, l'anonimo tartassato.
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