Pro e contro Non trasformiamo il sogno in routine

Evviva, rieccoli. Chi non prova un brivido all’idea di ascoltare ancora Sound of Silence dal vivo? Ma un conto è stato rivederli nel 2004, dopo oltre 20 anni di separazione, altro ritrovarli quasi settantenni, a cinque dall’ultimo tour mondiale. Simon è l’artista, il poeta perso in orizzonti celesti; Garfunkel l’angelica voce tenorile ma l’uomo senza personalità. Simon da solo si è confermato superstar e meraviglioso esploratore di suoni - da Mother and Child Reunion alle fantasie sudafricane di Graceland fino ad oggi -, Garfunkel nonostante goffi tentativi musicali e cinematografici è caduto nell’anonimato. Tiene concerti ovunque ma chi se ne accorge? Annunciate invece uno show di Simon - come quest’estate a Milano - ed è il delirio. Lasciamo da parte i litigi tra loro; la realtà è che Simon è un individualista, giovane virgulto del Greenwich Village con il pallino di sfondare nel folk senza copiare Dylan. Per questo unisce nei suoi brani elementi di tutti i filoni pop dominanti. Già nei primi ’60 cerca il successo da solo a Londra. È il produttore Tom Wilson (quello che cambiò la vita di Dylan arrangiando l’esplosiva Like a Rolling Stone) a far quadrare la formula e a convincere Simon che, con la soave voce dell’amico Art, avrebbe incontrato i gusti del pubblico. E così fu. Ma poi Paul s’è sganciato, è rimasto un gigante (lui così minuscolo di corporatura) e l’allampanato Art è rimasto un nano (col massimo rispetto per la sua emozionante vocalità).

Ma Simon è la prova vivente che nel rock la bella voce è un optional; conta l’espressività, anche se il canto è fuori tono (ascoltate la sua Sound of Silence). Siamo felici di rivederli insieme, ma l’impressione è che queste reunion siano un regalino ad Art. Attenzione: la nostalgia e il sogno sono il sale della vita, ma per favore non trasformiamole in routine.

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