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«Processate i lagunari di Nassirya»

Secondo la procura militare tre di loro spararono contro un’ambulanza. L’esercito: «Falso, era un’autobomba»

da Roma

Non un’ambulanza, ma un’autobomba. Questa la versione accreditata a caldo dai militari italiani, in un rapporto rimasto finora riservato, a proposito di un’ambulanza che sarebbe stata colpita a Nassirya dal fuoco dei lagunari, provocando vittime civili. Un episodio su cui la procura militare di Roma ha aperto un’inchiesta che si sarebbe conclusa con la richiesta di tre rinvii a giudizio.
Nella relazione tecnico-disciplinare del comandante della task force Serenissima sulla battaglia dei ponti combattuta a Nassirya nella notte tra il 5 e il 6 agosto 2004 tra militari italiani e fondamentalisti sciiti, non si fa riferimento ad alcuna ambulanza colpita. L’episodio al centro delle indagini della procura militare sarebbe invece quello che nel rapporto viene descritto come l’attacco a una pattuglia da parte di un’autobomba, che è stata colpita ed è esplosa. «Alle ore 03.25, il complesso su base 2/a compagnia, disposto in prossimità del ponte Charlie - si legge nel documento - veniva attivato da colpi provenienti da un mezzo civile che transitava lungo il ponte verso le sue posizioni. All’alt intimato dai militari, accompagnato da colpi di avvertimento, il mezzo non si fermava e il dispositivo rispondeva prontamente alla minaccia aprendo il fuoco con armi di reparto causando l’esplosione del mezzo, il quale - scrive il comandante della task force - verosimilmente conteneva esplosivo». Della vicenda cominciò a parlarsi subito dopo gli scontri: tra gli altri episodi avvenuti durante quella battaglia si fece riferimento sia a una autobomba diretta contro gli italiani, che venne fatta esplodere, sia a un’ambulanza, centrata da un razzo.
Sui fatti aveva aperto un’inchiesta la procura militare di Roma per «uso delle armi contro ambulanze» (reato previsto dall’art.

191 del Codice penale militare di guerra), inchiesta conclusa col rinvio a giudizio del lagunare Raffaele Allocca, del comandante del suo plotone, il maresciallo Fabio Stival, che avrebbe dato l’ordine di fare fuoco, e di un altro militare.

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