Imputato, si alzi. Laccusa vera è concorso esterno in berlusconismo. Le donne? Le donne sono solo uno schermo.
Il caso Ostellino non riguarda solo il Corsera. Quando cinquantadue giornalisti scrivono una lettera per deprecare le opinioni di un collega cè qualcosa che non torna. Sa di probiviri, di vestali della morale, di «caro signore certe cose non si pensano». Magari è normale. Forse è questo lo spirito del tempo, ma cè qualcosa che ti rode, un dubbio, un sospetto. Non è solo listinto anarchico, stirneriano, che ti fa stare dalla parte delluno contro i tanti. Noi e io. La questione in fondo è tutta qui. Solo che bisogna capire perché i «noi» se la prendono con l«io». Quali sono le colpe di Ostellino?
La storia è questa. Lex direttore del Corriere della Sera ha scritto un commento sul caso Ruby. Ostellino difende il diritto delle ragazze che frequentano casa Berlusconi di non essere marchiate e sputtanate. È un invito a non trasformare lItalia nella Ddr raccontata nelle «vite degli altri». È un sommesso atto di accusa contro la gogna delle intercettazioni. Il pensiero di Ostellino si può sintetizzare in tre parole: niente lettere scarlatte. Non siamo a Salem. Basta caccia alle streghe.
Ostellino, nel suo ragionamento, rivendica il diritto delle donne di usare il proprio corpo come meglio credono. «Una donna che sia consapevole di essere seduta sulla propria fortuna e ne faccia partecipe chi può concretarla non è automaticamente una prostituta. Il mondo è pieno di ragazze che si concedono al professore per goderne lindulgenza allesame o al capo ufficio per fare carriera». Qui è lo scandalo. La risposta è una lettera firmata da 52 persone. È una presa di distanza, una bacchettata, indignata: «Noi pensiamo che sia inaccettabile pensare che la fortuna di una ragazza risieda in una o più parti anatomiche da offrire al potente di turno». Legittimo non condividere Ostellino. Quello che non si spiega è perché farlo in 52, come se fosse un tribunale morale? Perché Federico Fubini, Gaia Piccardi o Maria Laura Rodotà, firme del quotidiano, non hanno replicato con un intervento personale? Uno contro uno. Capita nei quotidiani di rispondere alle opinioni dei colleghi. Davvero De Bortoli non lavrebbe permesso? Meglio un attacco di massa contro uneditorialista di casa? La sfida uno contro uno avrebbe evitato quelleffetto probiviri che sfiora la censura. Una cosa del genere non era mai accaduta. È la prima volta che i giornalisti del Corsera replicano a un commento con una lettera pubblicata sul quotidiano. Ostellino così diventa leretico, lopinionista da delegittimare.
Laccusa palese è di aver offeso le donne. La difesa di Ostellino chiarisce i dubbi: «Il mio era un principio liberale, non un invito a darla». Ma resta un corto circuito in questa storia. Ostellino dice: ma vi sembra normale vivere in un Paese dove ascoltano le tue telefonate e ti sputtanano? La reazione è: Ostellino è un maschilista. Qualcosa non funziona. È chiaro che i 52 firmatari possono restare scettici. Ma se qualcosa di simile lavesse scritto un altro? Ecco il sospetto. Ostellino si becca le cinquantadue firme perché è Ostellino. È il commentatore del Corsera che odora, puzza, di berlusconismo. È quello che gli antiberlusconiani di professione hanno marchiato con la B sulla fronte. È un pennivendolo. Ostellino difende i dieci emendamenti americani e i diritti delluomo? Lo fa solo perché è un liberale a libro paga. È il fantoccio da sacrificare quando «verrà il giorno».
Nel 2006 Paolo Mieli fece outing prima delle elezioni politiche. Disse a tutti che il Corriere avrebbe appoggiato Prodi. Ma aggiunse che avrebbe comunque pubblicato editoriali non in linea con la scelta della direzione. Il Corriere è prodiano, i singoli editorialisti no, non tutti almeno. La risposta del comitato di redazione fu questa. Mieli sbaglia.
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