Processo Ruby, la gogna delle foto sexy

MilanoIris Berardi faceva le marchette. Barbara Guerra si vestiva da porno-infermiera. Le giovani Ioan Visan e Aris Espinoza pomiciavano tra di loro. E Kharima el Mahroug, la bella «Ruby Rubacuori»? Faceva la zoccola prima ancora di compiere diciott’anni. Tutto raccontato a porte aperte, ieri, nell’aula del tribunale di Milano dove si celebra il processo per concussione e prostituzione minorile all’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Per la seconda udienza di fila, nell’aula del processo, le superiori esigenze della giustizia fanno sì che nomi, usi, costumi e altri fatti privati di ragazze che non sono imputate di nulla - e che anzi per il tribunale di Milano costituiscono le «parti offese» del Rubygate - vengano offerte in pasto al pubblico, e dai taccuini dei cronisti rimbalzino direttamente e per sempre nell’universo del web.
All’imputato Berlusconi, processualmente parlando, queste rivelazioni non sembrano destinate a fare troppi danni, almeno fin quando le presunti parti offese continueranno a giurare di non essere mai state da lui nemmeno sfiorate; infatti Niccolò Ghedini, legale del Cavaliere, a fine udienza mostra soddisfazione: «È andata bene, se gli elementi a carico del nostro assistito sono delle foto con ragazze che si scambiano affettuosità modestissime e l’unica foto ricollegabile ad Arcore è quella di una stanza, speriamo si continui così». La stanza di cui parla Ghedini è quella ritratta in una foto trovata sul cellulare di Barbara Guerra: vi si vede una stanza, un letto sfatto, alle pareti qualche foto di Berlusconi da giovane. «Abbiamo accertato - spiega ai giudici il commissario Giorgio Bertoli - che fu scattata ad Arcore la notte del 24 ottobre 2010 alle ore 4,51». «Quel giorno - ribatte Ghedini - Silvio Berlusconi era a Roma per tutta la giornata E se anche fosse stato lì, la cosa non è di alcuna rilevanza».
Con il commissario Bertoli si conclude la prima sfilata di testimoni dell’accusa, tutti poliziotti che hanno partecipato alle indagini sul «bunga bunga». Ma gli interrogatori si svolgono in un clima quasi surreale, perché gli investigatori continuano a fare riferimento a verbali e interrogatori di cui non possono riferire il contenuto, e sono costretti a stare sul vago. La parte ghiotta, mediaticamente parlando, è ancora di là da venire, quando inizieranno le sfilate sul banco dei testimoni delle ragazze e dei vip che secondo la Procura partecipavano alle feste di Arcore. In un processo normale per prostituzione, queste udienze avverrebbero a porte chiuse, proprio per tutelare le vittime. Invece nell’aula del Rubygate si prevede il tutto esaurito.
Ieri, intanto, i difensori di Berlusconi denunciano: la Procura ci ha impedito di accedere al suo server per controllare la regolarità delle intercettazioni telefoniche eseguite nel corso delle indagini. Una sentenza della Cassazione, dicono i legali del Cavaliere, stabilisce che una volta terminate le indagini quel controllo è un diritto dell’imputato: siccome a Berlusconi non è stato concesso, e quindi come siano state eseguite le intercettazioni è rimasto un segreto, il processo deve ricominciare da capo. Il tribunale si ritira in camera di consiglio e dice: niente da fare, si va avanti.

A verbale, rimane la ammissione di un funzionario di polizia: «Ruby» venne fermata dalla polizia per tre volte, nel giugno 2010, ma in nessuna di quelle occasioni Berlusconi mosse un dito in suo aiuto. Ma il problema resta l’intervento del premier in occasione del primo fermo, il 27 maggio: che indubbiamente vi fu, per ammissione dello stesso Berlusconi. In quali termini, lo scoprirà (forse) il processo.

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