La Procura di Milano dà la caccia a 22 agenti Cia in tutto il mondo

L’imam sequestrato in Italia dall’intelligence americana

Enrico Lagattolla

da Milano

Ricercati, ovunque. Si stringe il cerchio attorno ai 22 agenti della Cia accusati di aver rapito nell’estate di due anni fa Abu Omar, l’imam della moschea milanese di viale Jenner. Nei confronti degli uomini che organizzarono e presero parte a quel blitz, la Procura di Milano ha emesso ieri un mandato di cattura europeo.
Salvi solo negli Stati Uniti, almeno per ora. Perché se il commando dovesse riparare in patria, sarà necessario l’intervento del ministro della Giustizia Roberto Castelli, al quale già in passato la Procura avevano chiesto di pronunciarsi sull’estradizione nei confronti degli indagati. Secondo gli inquirenti, infatti, Abu Omar (già indagato per i suoi presunti legami con il terrorismo di matrice islamica) venne rapito dagli uomini della Cia sotto il comando di Bob Lady. Era il 17 febbraio 2003. L’ex imam venne sequestrato a Milano, a poche centinaia di metri dalla sua abiitazione, poi caricato su un furgone, trasportato nella base americana di Aviano, e «dirottato» in un carcere egiziano, dove fu interrogato e sottoposto a torture. «Extraordinary rendition», «consegna straordinaria» in nome dell’antiterrorismo. Prelevare un sospetto senza tenere conto della sovranità dello Stato in cui si trova. Quel blitz, però, fu una sequela di leggerezze, che indirizzarono la Procura sulla pista dell’intelligence americana. Cellulari rintracciati, testimoni oculari, file compromettenti rinvenuti nel computer di Lady. Quindi, l’apertura dell’inchiesta.
Ieri, la svolta che pone il ministro Castelli tra due fuochi. Il primo, quello della Procura, che chiede - sempre attraverso il ministero - assistenza giudiziaria agli Usa per poter interrogare gli indagati, ascoltare i testimoni, acquisire nuovi documenti. Il secondo, quello di Washington, le cui pressioni con ogni probabilità cominceranno a farsi sentire qualora Castelli si dovesse trovare a decidere per l’estradizione.
In serata, il ministro ha definito «un atto dovuto» la firma posta sulla richiesta arrivata in via Arenula dalla Procura milanese. Comunque, «si tratta di una questione estremamente delicata». E se «l’inserimento dei nomi dei ricercati nel sistema Schengen costituisce un mero atto dovuto su cui il ministro della Giustizia non ha alcun potere di valutazione, dovendosi limitare alla trasmissione degli atti», resta che «il codice di procedura penale dà in capo al ministro la valutazione su cosa occorra fare ai sensi della sicurezza dello Stato». Quindi, Castelli ha fatto richiesta ai magistrati milanesi di trasmettere una copia degli atti relativi all’indagine sul sequestro di Abu Omar.
Un’iniziativa, quella del ministro, che ha avuto immediati strascichi politici. «Mentre tutti si aspettavano il pieno sostegno del governo all’azione della magistratura, tesa a tutelare la sovranità del nostro Paese - tuona il coordinatore dei Verdi, Paolo Cento - la richiesta del Guardasigilli suona come una delegittimazione dell’operato dei giudici». Non così per il viceministro delle Attività produttive Adolfo Urso, secondo cui «ha fatto bene Castelli a chiedere alla Procura generale di Milano tutti gli atti relativi al sequestro di Abu Omar, perché per fronteggiare il terrorismo internazionale ci vuole un’assoluta serenità di giudizio e la massima cautela».


Polemiche che non sembrano sfiorare gli uffici d’Oltreoceano. Un unico, secco commento filtra dalle stanze della Cia a Langley in Virginia e da quelle del Direttore nazionale dell’intelligence, John Negroponte: «Niente da dire su questa vicenda».

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