La Procura «smonta» l’inchiesta sugli spioni

Enrico Lagattolla

da Milano

Sempre meno un complotto, sempre più uno scandalo «voyeristico». Un esordio fragoroso, per il caso dello spionaggio fiscale su politici, sportivi e vip di varia natura. E un esito, almeno per il momento, decisamente ridimensionato. La misura di questo «Watergate» in tono minore sta tutto nei prossimi passi previsti dall’inchiesta milanese. Solo una minima parte dei 127 soggetti indagati dalla Procura per violazione dei sistemi informatici in seguito all’esposto-denuncia del viceministro dell’Economia Vincenzo Visco avrà l’attenzione del pubblico ministero Francesco Prete. Così pochi, secondo gli inquirenti, che si contano sulle dita di una mano.
Si tratta di un pugno di persone che dovranno spiegare al magistrato le modalità, e soprattutto le finalità delle loro incursioni nei data-base (in teoria) protetti. Ma, sfrondata la selva di spioni, più degli occulti manovratori resta la vasta schiera dei curiosi a tempo perso. Per i quali, ogni accesso abusivo aveva il sapore di un pettegolezzo.
Come per le due impiegate dell’Agenzia delle entrate di Genova, il cui ufficio di Carignano è stato perquisito nei giorni scorsi dagli uomini dello Scico. «Prodi? - confessano - se è per questo abbiamo curiosato anche sul conto di Berlusconi». Curiosato, appunto. Giusto un’incursione nel mondo dei nomi che contano, «ma senza secondi fini». E, in generale, è questa la difesa della maggior parte degli indagati. Un’indiscrezione oziosa da terminalisti. O per gioco, come nel caso dello stagista di Udine, entrato all’Anagrafe tributaria grazie a una convenzione tra la direzione scolastica regionale e alcuni enti e istituzioni del Friuli Venezia Giulia.
Per dare un’idea, dopo aver controllato la posizione fiscale del presidente del Consiglio Romano Prodi e del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, l’invadente ragazzo - poco più che maggiorenne - ha dato un’occhiata ai conti del padre di un amico, e a quelli del preside della sua vecchia scuola. «Uno scherzo», si è giustificato. E, con ogni probabilità, è così. O, ancora, una funzionaria di Ascoli Piceno, che si professa «estranea alle accuse» dopo che il suo ufficio e la sua abitazione sono stati perquisiti, senza che alcun documento o strumento informatico sia stato sequestrato.
Una pletora di accessi abusivi che rischiano di tingere di grottesco l’intera vicenda. E se n’è accorta anche la Procura di Milano, costretta a ridurre il proprio raggio d’azione sui casi apparentemente più delicati. Un primo riscontro alle 250 perquisizioni in uffici e abitazioni private ordinate in tutta Italia si avrà già domani, quando il pm Prete dovrà fare il punto sugli esiti investigativi fin qui emersi. Una panoramica sommaria rispetto a quanto riscontrato sui 117 dipendenti dell’Agenzia delle entrate, e sui dieci militari della Guardia di finanza coinvolti nell’inchiesta.
Poi toccherà alla Procura definire le linee guida per il prosieguo dell’indagine.

Estendendo le verifiche effettuate sul nominativo di Prodi (e denunciate dal ministero) ad altri nomi «sensibili», appurando se anche ignari operatori siano stati coinvolti negli illeciti, verificando se circolino password «fantasma», e se anche in quest’ultimo caso di «spionaggio» - come emerso per altre inchieste milanesi - sia stato alimentato un «mercato» delle informazioni riservate, vendute a poche decine di euro al miglior offerente. E, soprattutto, concentrando le indagini su un gruppo ristretto di soggetti. Molti di meno rispetto ai 127 indagati. Pochi, da contarli sulle dita di una mano.

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