Era persino più serio quando partecipava alle sedute spiritiche. Ma sì, dai: giocava al piccolo medium con la sfera di cristallo, gradoli qui, gradoli là, il tavolino che traballa, la parapsicologia applicata al tortellino. Certo: era arrivato ai confini della realtà. Ma adesso ha fatto un passo in avanti. Quei confini li ha oltrepassati. Se ci sei batti un colpo? No, basta. Ormai ce ne sono fin troppi di colpi. Soprattutto, colpi di testa.
Non avremmo mai pensato che ci fosse un Prodi da rimpiangere. E invece ci capita persino questo. Rimpiangiamo il Prodi che svendeva l'Alfa alla Fiat, quello che ci pelava con la Cirio, quello che fra Motta e Alemagna ha fatto un panettone così alle nostre casse pubbliche. Rimpiangiamo persino il Prodi del pullman, quello del suo primo governo, che cadde sì, per ingenuità, ma almeno con dignità. Ci tassava anche allora, certo. Ma per lo meno lo faceva in modo lucido. Potevi pensare: «sbaglia tutto»; però dovevi ammettere: «sa quello che vuole». Adesso non sa nemmeno più quello che dice.
Ma l'avete sentito? Gli chiedono se è preoccupato della sicurezza del Papa in Turchia e lui risponde: «Ci penseranno le guardie svizzere». Gli chiedono di riferire in Parlamento sul caso Telecom e lui risponde: «Siete matti». Poi gli parlano delle elezioni del Molise e lui s'indispone: «Saranno problemi del Molise». Ma come? Se lei era persino andato a fare campagna elettorale... Niente da fare, «problemi del Molise». L'ultima è questa del Paese impazzito, che fa venire in mente quell'anziano che imbocca l'autostrada nella corsia sbagliata, si vede centinaia di auto che gli vengono addosso e s'infuria: «Chissà perché oggi viaggiano tutti contromano. Devono essere matti».
Che ci volete fare? Ci sono premier che sanno le barzellette. E ci sono premier che fanno le barzellette. Così va il mondo. Ma ormai è una risata che mette quasi malinconia, che descrive un declino umano, ancor prima che politico, la deriva verso approdi patetici su cui è persino difficile scherzare. Ci si può mettere la camicia di forza, come ha fatto ieri in Tv Gene Gnocchi, si possono irridere le «prodate» e si può giocare su Internet a indovinare quale sarà la prossima (dichiarerà guerra a San Marino? Si travestirà da Napoleone? Chiederà alla Montalcini di mettersi la minigonna per rendere la Finanziaria più sexy? Nominerà un fan di Fidel Castro ministro dei Trasporti? Ah, no: questa l'ha già fatta). Però, ecco, resta sempre un filo di tristezza perché non è solo il capo del peggior governo che si ricordi. È anche una persona in evidente difficoltà.
Dicevano di lui: gronda bonomia da tutti gli artigli. Sono spariti la bonomia e anche gli artigli. Adesso gronda solo gaffes. È come se all'improvviso avesse perso il contatto con la realtà. Come se fosse scollegato. Non è mai stato così. Anzi. Era duro, cinico, spietato. Aveva una furbizia democristiana, una determinazione spaventosa. Magari, poi, si faceva infinocchiare da D'Alema e Bertinotti, ma finché stava sulla plancia di comando disegnava la rotta con sicurezza. Probabilmente navigava nella direzione sbagliata, ma almeno navigava. Adesso la navigazione è scomparsa, rimane solo il mal di mare. Come sull'ottovolante: fai il giro della morte, eppure resti sempre allo stesso punto. E, soprattutto, quando scendi non capisci più niente.
I primi segnali di smarrimento Prodi li ha già dati subito prima delle votazioni. Una volta gli chiesero: «Vivresti a Roma?», e lui rispose: «Manco morto». Polemiche a non finire. Poche settimane dopo aggredì un radioascoltatore che aveva osato contraddirlo durante una diretta: «Lei è matto» (e dagli con la follia: vorrà dire qualcosa?). Però si pensava fosse lo stress della campagna elettorale, un momento di defaillance. Invece, da quando è a Palazzo Chigi, va peggiorando. Ormai le «prodate» si ripetono con frequenza preoccupante. Così noi, con un po' di pudore, dobbiamo ammettere che abbiamo persino un po' di nostalgia di quel Prodi che faceva paura anziché fare pena.
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