Sembrerà strano, ma lintervento di Romano Prodi alle Nazioni Unite, martedì scorso, ha avuto un aspetto positivo, e il più irrilevante di tutti (ma solo in apparenza): sè svolto in lingua italiana. Esattamente comera successo con il discorso che a suo tempo, e nella stessa sede plenaria, aveva pronunciato Silvio Berlusconi. E si sperava che questa scelta dei presidenti del Consiglio di entrambi gli schieramenti potesse costituire un precedente allo stesso tempo definitivo e invalicabile per la diplomazia del nostro confuso Paese. Perché gioverà purtroppo ricordare che in tempi non lontani un ministro degli Esteri (Gianfranco Fini) e un presidente del Consiglio (Giuliano Amato) che pur rappresentavano lItalia, avevano trovato lardire di fare le loro orazioni rispettivamente in francese e in inglese. Dopodiché lattuale titolare della Farnesina, Massimo DAlema, proprio ieri ha letto il compitino, di nuovo, in inglese; anche se non si trovava nelloccasione, per così dire solenne, del «pulpito» davanti allassemblea (come invece Prodi, Berlusconi, Fini e Amato).
Sgomberiamo subito il campo dalla scontata obiezione che la lingua italiana non sia una delle lingue ufficiali delle Nazioni Unite. Neanche il tedesco lo è, ma i rappresentanti di quel Paese nella lingua di Goethe rigorosamente intervengono. E se per caso nelle sedi più ristrette dellorganizzazione la tradizione e financo i regolamenti prevedessero limpossibilità di ricorrere ad altre lingue al di fuori delle formalmente «riconosciute», si cambino le tradizioni e i regolamenti. Posto che il diritto alluso della propria lingua fa parte dellidentità delle persone e dei popoli: figurarsi se non deve far parte dei diritti inalienabili di chi si trova a rappresentare addirittura lintera nazione. E proprio alle Nazioni Unite!
Cè quanto basta affinché il governo faccia almeno due cose: sancire con un atto di indirizzo che chiunque e per qualunque ragione rappresenti lItalia in organismi internazionali - organismi oltretutto sovrabbondanti di traduzioni in tutte le lingue -, deve parlare in italiano. E pretendere dalla Fao (sede di Roma, Italia) di aggiungere anche la lingua italiana come lingua ufficiale di lavoro.
Si prenda a esempio se non proprio la Francia, che ha fatto della sua battaglia linguistica una sacrosanta questione di principio, almeno la Germania, che non ha certo minore difficoltà di noi nel difendere e nel diffondere la propria lingua nazionale a livello internazionale. Ma i suoi esponenti istituzionali utilizzano il tedesco anche a cospetto delluomo più potente della Terra, George W. Bush (e pur avendo i tedeschi una conoscenza mediamente alta dellinglese). Eppure, anche nellultimo G8 che sè svolto a casa loro, i tedeschi non hanno avuto alcun complesso nellusare sempre la loro lingua; al punto che Bush sè sorpreso, chiedendo perché non parlassero in inglese. Ma bisognava semmai sorprendersi della sua sorpresa.
Che lItalia parli in italiano quando si rivolge al mondo, vale allOnu ma pure allUnione Europea come istituzione di Bruxelles. Dove invece la nostra lingua continua a essere penalizzata di fatto e di diritto, a scapito dell«ufficialità» che viene riconosciuta allinglese e al francese e, di soppiatto, al tedesco.
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