Prodi nasconde i Pacs sotto le «unioni civili»

Massimo Introvigne

Per alcuni sociologi la dissonanza cognitiva è il fenomeno per cui, smentiti dai fatti, gruppi religiosi o politici non ammettono l’errore né cessano la propaganda, ma al contrario gridano più forte, nella speranza di convincere anzitutto se stessi. Si sono visti così gruppi che avevano annunciato date per la fine del mondo diventare più attivi nella propaganda dopo il fallimento della profezia. In un’evidente situazione di dissonanza cognitiva si trovano l’ex presidente del comitato Scienza e Vita Paola Binetti, benemerita per avere contribuito alla sconfitta dei laicisti nel referendum sulla procreazione assistita, e il presidente dell’associazione di lavoratori cattolici Acli Luigi Bobba. Entrambi si sono candidati per la Margherita e hanno scoperto - dopo mesi, ma non è mai troppo tardi - di essere saliti sullo stesso treno di Vladimir Luxuria, dell’Arcigay e dei fanatici dell’eutanasia all’olandese. Anziché scendere dal treno - del resto, è troppo tardi - i due si sono messi a strillare per convincersi di non avere sbagliato, assicurando perfino per iscritto e per lettera che la loro presenza in Parlamento garantirà un’Italia senza quei Pacs, le unioni civili legalmente riconosciute anche fra omosessuali, tanto sgraditi alla gerarchia ecclesiastica. Gli attacchi dei radicali fanno il loro gioco, dando risonanza alla lettera e creando l’illusione che i due contino qualcosa.
Da una parte la lettera ripete un’ovvietà, ma partecipa a un gioco delle tre carte inventato da Prodi e Rutelli: nel programma dell’Unione non c’è la parola Pacs, e forse questa parola non sarà usata neppure dopo le elezioni. Sapendo che la parola evoca la Francia e il suo laicismo, Prodi ha deciso di inserire nel suo programma esattamente la stessa cosa usando però un nome diverso, «unioni civili», secondo quella retorica dell’eufemismo per cui l’aborto, per esempio, in Italia va sempre chiamato «interruzione volontaria della gravidanza». Se Binetti e Bobba vogliono dire che basteranno loro due a fare argine, in caso di vittoria dell’Unione, all’assalto di qualche centinaio di deputati che voteranno per i Pacs chiamandoli con un altro nome, hanno bisogno o di uno psichiatra che li curi dalle manie di grandezza o di un corso accelerato sul modesto ruolo che la vita politica italiana assegna - specie a sinistra - ai peones pescati nella società civile, che servono per la campagna elettorale ma non contano nulla in Parlamento.
La vicenda rivela però un malessere più profondo. Da anni il mondo dei laici cattolici italiani è diviso tra una cupola che s’inchina alla sinistra sulla base di un’interpretazione progressista del Concilio Vaticano II - teorizzata da quella «scuola di Bologna» che ha prodotto Romano Prodi - e una base che la pensa diversamente ma che stenta a trovare rappresentanza culturale e politica. Con il referendum sulla procreazione assistita la base, seguendo i vescovi e il Papa piuttosto che i leader di rito bolognese, si è ribellata alla cupola e l’ha sconfitta.

Come è avvenuto in passato, la reazione della cupola è stata quella di cooptare qualche leader della base in rivolta sperando così di rabbonirla. Questa volta il gioco non dovrebbe funzionare: perché al referendum non hanno vinto la Binetti o Bobba, ma la gerarchia ecclesiastica e un popolo cattolico che si è stufato dei suoi leader di cartapesta.

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