nostro inviato a Bruxelles
Che nel loro incontro mattutino, a margine del Consiglio europeo, i due premier avessero discusso (soprattutto) di ritiro dallIrak, lo ha confermato ai giornalisti un sorridente José Luis Zapatero: «Noi abbiamo raccontato a Romano Prodi la nostra esperienza sul ritiro delle truppe spagnole - spiega - gli abbiamo detto come lo abbiamo fatto». Nessun ulteriore commento, salvo lassicurazione del «massimo rispetto per la decisione italiana sul ritiro».
Per il resto bocche cucite nello staff del leader spagnolo: si è parlato «a lungo» di una questione sulla quale tra i due governi cè un «comune sentire» contro la guerra di Bush. Ma Zapatero e i suoi non ignorano quando sia complicata per Prodi la situazione interna, e di come il governo italiano sia bloccato tra molteplici fuochi (in estrema sintesi: lalleanza con gli Usa da una parte, quella con Marco Rizzo dallaltra) e non sappia ancora che pesci prendere sulla gestione della doppia partita Irak-Afghanistan. Perché è vero che Zapatero dalloggi al domani abbandonò Bagdad, ma è pure vero che immediatamente rafforzò il contingente spagnolo a Kabul. Per lUnione una strada simile appare al momento impercorribile senza rischiare pericolosi scivoloni in Senato, dove il dissenso delle ali pacifiste non appare controllabile. Tantè che Prodi si è affrettato ad assicurare, ieri a Bruxelles, che «nessuna decisione è stata presa sul numero» dei nostri militari in Afghanistan, «né di aumento né di diminuzione: si decide con gli alleati e si lavora con loro». Dove per «alleati» si può leggere sia la Nato, sotto le cui insegne la missione a Kabul ha luogo, sia forse gli alleati nostrani, quelli della sinistra radicale che ripetono che dallAfghanistan bisogna scappare al più presto. «Né aumento né diminuzione», dunque,come conferma anche il ministro della Difesa Parisi da Kabul: «Al momento non siamo in grado di dire se e quanti soldati ci saranno in più». Una certificazione dello stato di impasse in cui si trova la maggioranza di centrosinistra, se vuol riuscire a far passare tra qualche settimana il rifinanziamento delle missioni militari. In un «unico decreto», spiega il portavoce del premier Silvio Sircana, anche se lala sinistra dellUnione chiede di votare separatamente su Irak e Afghanistan: «La tendenza è a farne uno solo, anche perché meno se ne fanno e meglio è», riconosce realistico, consapevole che per le forche caudine del Senato meno ci si passa e meglio si può pensare di andare avanti. Quanto al ritiro dallIrak, è una scelta «che avevamo annunciato da anni - spiega Prodi - con serenità e motivazioni politiche che la storia non ci ha indotto a cambiare. Per questo sono convinto che le spiegazioni che darà oggi DAlema a Washington avranno una loro grande forza, perché sono coerenti». Certo, mette le mani avanti, «non dico che gli americani saranno contenti», ma almeno non potranno accusare Prodi di «aver cambiato linea».
Ora si sa, perché il governo lo ha ampiamente spiegato in questi giorni, che esistono due modelli di ritiro dallIrak: il modello Zapatero e quello olandese. E Prodi ha assicurato che «noi ci ritireremo allolandese, non alla spagnola». Ossia «in modo concordato sia con il governo iracheno che con l'amministrazione americana, perché il rientro avvenga senza tensioni e problemi». Come riuscì per lappunto a fare lAja nel 2004, avviando senza proclami né polemiche un negoziato con Usa e Gran Bretagna, e dando inizio a un graduale disimpegno lanno successivo.
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