Francesco Damato
Nel tentativo forse di togliersi di dosso l'immagine di «Prodinotti», felicemente applicatagli dal senatore repubblicano Antonio Del Pennino per sottolinearne la dipendenza da Fausto Bertinotti e dalle altre componenti della sinistra antagonista, Romano Prodi ha promesso che se vincerà anche con «un solo voto in più» dei suoi concorrenti le primarie di ottobre per la guida elettorale delle opposizioni, saprà imporre «le sue priorità» programmatiche agli alleati. «Chi perde accetterà il verdetto delle urne», ha assicurato il Professore ad una compiacente Repubblica, che lo ha così tradotto nel titolo dell'intervista, con tanto di virgolette: «Chi vince decide il programma».
Bertinotti si è affrettato a ricordare che il regolamento delle primarie permette al vincitore solo di «organizzare la partecipazione di tutte le componenti alla definizione del programma». Che sarà altra cosa rispetto al generico «progetto per l'Italia» appena concordato fra i partiti dell'Unione prodiana. Si è insomma ripetuto lo spettacolo un po' penoso di qualche mese fa, quando un Prodi baldanzoso assicurò in un salotto televisivo che Bertinotti gli avrebbe alla fine «ubbidito» e l'altro gli rispose prima mandandolo a quel paese, poi mettendolo in riga in tutte le occasioni utili.
È appena accaduto, per esempio, che Prodi abbia predisposto un documento sulla presenza militare italiana in Irak senza la richiesta di un ritiro immediato invitando però i presunti riformisti del suo schieramento a non presentarlo in Parlamento. Dove doveva bastare, come reclamato dalla sinistra antagonista, il puro e semplice voto contrario al rifinanziamento della missione. La quale pertanto, se quel no fosse passato, avrebbe dovuto rientrare subito, cioè nei tempi pretesi con sinistra coincidenza da Bertinotti e dai terroristi che insanguinano quotidianamente l'Irak e tutti i Paesi che ne assecondano il processo di democratizzazione, anche quelli, come l'Egitto, che non vi hanno inviato le loro truppe.
D'altronde è la stessa intervista di Prodi a Repubblica a contraddirsi, tanto che a rigore Bertinotti non avrebbe avuto neppure bisogno di opporle una replica. Prodi infatti ha sgonfiato la promessa di far prevalere le sue «priorità» in caso di successo nelle primarie assicurando che «naturalmente chi vince ha la responsabilità di tenere conto dei temi e delle sensibilità portate avanti dagli altri candidati». Il suo compito - ha precisato accogliendo in anticipo le obiezioni di Bertinotti - sarà quello di «armonizzare tutta la coalizione» e di «arrivare all'assemblea che faremo a dicembre con un programma condiviso». Si sa, e si è visto, che cosa i vari Bertinotti, Pecoraro Scanio e Diliberto intendano per «programma condiviso» e conseguente condotta parlamentare.
Il meno che si possa dire dei progetti prodiani è che sono velleitari. Ma s'intravede anche una certa dose di bugie, cui mi auguro l'elettorato non risponda con la stessa indulgenza di quei magistrati che raccolsero senza fiatare il racconto prodiano della seduta spiritica su Gradoli durante il tragico sequestro di Aldo Moro.
All'immagine di «Prodinotti» il capogruppo dell'udc alla Camera Luca Volontè ha appena aggiunto, per via anche di unintransigente difesa dell'aborto impostagli dalla sinistra, quella di «Proditero»: metà Prodi e metà Zapatero. A me viene voglia di chiamarlo «Prodinocchio»: metà Prodi e metà Pinocchio, con la speranza che il simpatico burattino di Collodi non si offenda.
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