«Il Prof in Aula», Violante sta con il Polo

Il ds: «Se fossi stato all’opposizione avrei preteso il governo in Parlamento». Ma alle Camere risponderà solo Gentiloni

da Roma

«Io dico: D’Alema». Era il 7 maggio scorso, e sul Corriere della Sera Guido Rossi dava il suo endorsement alla candidatura al Quirinale del presidente della Quercia. Un vero e proprio manifesto a sostegno di Massimo D’Alema, che è un «vero liberale», «l’uomo delle privatizzazioni», «il più attrezzato» a perseguire «il dialogo» e a guidare la democrazia italiana verso «una possibile convergenza, che è cosa diversa dall’inciucio».
Riletta oggi, quell’intervista serve a capire perché dall’ascesa di Rossi al vertice Telecom molti facciano discendere anche conseguenze politiche: un indebolimento di Romano Prodi e del suo tentativo di costruire attorno a Palazzo Chigi un polo di potere economico e politico; e un rafforzamento del vicepremier ds. D’altronde oggi lo stesso Rossi, su Repubblica, bolla così la politica del premier: «Qui vogliono rifare l’Iri, ha capito? Ma che senso ha? E soprattutto, a chi serve?». Per questo, alla vigilia di un ormai probabile dibattito parlamentare su Telecom, il fatto che un pezzo della maggioranza (Verdi, Pdci, Prc) cavalchi apertamente uno dei punti chiave dell’ormai celebre «piano Rovati», la ri-nazionalizzazione della rete, rischia di mettere in imbarazzo ulteriore Prodi. Che infatti si guarderà bene dal presentarsi in aula, rischiando di finire sul banco degli imputati: non sarà lui a rispondere, e forse neppure il sottosegretario Letta, «perché sarebbe troppo identificabile con Palazzo Chigi», spiega il Verde Cento, più probabilmente sarà il ministro «di settore» Gentiloni. Un modo per sterilizzare un dibattito che la stessa maggioranza non ritiene evitabile. I più duri nel reclamarlo sono i ds, dalemiani in testa: «Se fossi stato all’opposizione anch’io avrei chiesto e preteso il governo in Parlamento», dice Violante. «Occorrono chiarezza e trasparenza - rincara Angius - e il governo, anche dopo le polemiche seguite alle iniziative di Rovati, ha il dovere di riferire rapidamente». E d’altronde sempre Repubblica mette tra virgolette un giudizio di D’Alema tutt’altro che simpatetico con Prodi: «Il governo non può fare la guerra a Telecom. Bisognerà mettersi a tavolino e cercare un dialogo costruttivo».
Anche i più cauti, come il responsabile economico ds Cabras, non nascondono il malumore che cova nell’Ulivo per le mosse del premier e del suo staff: «Ognuno deve fare il suo mestiere, e la politica non deve superare il suo limite: può dare grandi indirizzi strategici, non infilarsi dentro meccanismi societari». Ma la sferzata più feroce arriva da Europa, il giornale della Margherita rutelliana, che reclama le dimissioni di Rovati (richiesta finora respinta da Prodi), che «aiuterebbero forse l’intero governo ad affrontare senza imbarazzi i prossimi passaggi», e avverte: «Ci sarà molto da verificare nelle prossime settimane». E se qualcuno a Palazzo Chigi aveva in mente la «ri-statalizzazione Telecom» ora dovrà «sbattere» contro Rossi, «non l’uomo dei debiti, ma quello delle regole e della concorrenza, e di sinistra per di più.

Vediamo se regge l’unità politica del centrosinistra, già messa sotto sterzo da quando è esploso il caso Rovati, e si è avvertito palpabile l’imbarazzo riformista». Al ritorno dalla Cina, Prodi rischia di trovare un panorama assai diverso da quello che aveva lasciato, anche nella sua maggioranza.

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