da Roma
Laffondo risale al giorno prima delle elezioni. Quando seduto a tavola con la moglie Flavia e il fratello Paolo, Romano Prodi decide di avventurarsi in una metafora su Silvio Berlusconi. Il Cavaliere, racconta divertito ai presenti, «è come il signor Enea che andava a rubare luva». «Il contadino - prosegue il Professore - protestava e lui non solo lo picchiava, ma ogni volta che passava lo obbligava a dire signor Enea, vuole delluva?. Lui è così, semplicemente un prepotente. E alla prepotenza si resiste con la democrazia». Seduto a tavola con il futuro premier, però, cè anche Sebastian Kruger, regista e produttore tedesco che sta girando un documentario sulla campagna elettorale. Kruger, ovviamente, registra tutto. Compresa la digressione finale. «Ti rendi conto? Berlusconi si è arrabbiato perché non sono andato a Mediaset. Dice - spiega ai suoi commensali Prodi - che vado contro la libertà. E per essere libero devo andare alla sua televisione? Alla televisione del presidente del Consiglio mio opponente». E ancora: «Berlusconi ha una quantità di risorse illimitate per violare costantemente la legge. Sono completamente fuori legge, ma a loro la legge non interessa». Il ragionamento del Professore finisce dritto dritto sul documentario di Kruger, che va in onda il 29 maggio su 3Sat, la rete culturale di Zdf e Orf. E arriva di rimbalzo sul libro di Bruno Vespa LItalia spezzata.
Le reazioni del centrodestra, Forza Italia in primis, non si fanno attendere. E rispecchiano più o meno fedelmente il fastidio del Cavaliere per un attacco considerato «a freddo». «Chi guida il peggior governo del dopoguerra - fa sapere a stretto giro Paolo Bonaiuti - non ha titolo per giudicare Berlusconi». Il portavoce del Cavaliere, poi, rimanda al mittente laccusa di «prepotenza»: arriva da uno che «con solo 23mila voti di vantaggio e lItalia spaccata in due ha occupato tutte le poltrone possibili e immaginabili, ha tassato i Bot e i Cct, il ceto medio, le aziende grandi e piccole, i commercianti e i liberi professionisti, e ora si prepara a stangare il pubblico impiego e i pensionati». Durissimo anche Renato Schifani, presidente dei senatori azzurri, che parla di «giudizi da codice penale». «Il vero prepotente - spiega - è Prodi, che non ha più il consenso degli italiani e dimostra unarroganza che è decisamente fuori luogo». Schifani risponde anche per metafora: «Il Professore racconta la storiella del signor Enea e delluva, ma farebbe bene a ricordare una favola di Fedro che pure parlava di uva e di una volpe che non riusciva ad afferrarla». Sintetico il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi: «Prodi è la vergogna dItalia, può rimanere a Palazzo Chigi ma solo nella generale disistima degli italiani». Mentre Elio Vito, capogruppo alla Camera, chiede al premier una smentita perché, in caso contrario, dimostrerebbe «di non avere il senso dello Stato e delle istituzioni per fare il presidente del Consiglio».
A metà pomeriggio, mentre si susseguono le dichiarazioni di molti esponenti azzurri, arriva a gettare acqua sul fuoco Silvio Sircana. Il portavoce di Prodi parla di «inutile polverone» perché «la frase tratta dal libro di Vespa» è stata «sfilata con malizia dal suo contesto temporale» e «viene utilizzata per fare un po di baccano». «Se scandalizzarsi serve a ripulirsi la coscienza - aggiunge - ognuno è libero di farlo come meglio (o, forse, peggio) crede». Parole che però non stoppano la polemica. Attacca lazzurro Osvaldo Napoli: «Prodi voleva offendere il suo predecessore. È riuscito ancora una volta a offendere gli italiani e a qualificare se stesso». «Un premier che offende personalmente il leader dellopposizione - gli fa eco Isabella Bertolini - è una vergogna. Si scusi subito». Duro anche il capogruppo a Strasburgo Antonio Tajani: «Non ha argomenti se non gli insulti». «Prodi - dice lazzurro Sestino Giacomoni - è livoroso e non capisce che il consenso non si compra con le risorse illimitate ma si acquisisce col carisma». Per la Lega parla Roberto Calderoli. «Chi fa simili affermazioni - dice il vicepresidente del Senato - non può fare luomo di Stato né il premier».
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