La profezia di Bush: "Al Qaeda vuole un califfato in Irak"

Otto anni fa il criticato presidente capì ciò che Obama non ha ancora capito

La profezia di Bush: "Al Qaeda vuole un califfato in Irak"

Era il 5 settembre del 2006 quando George Bush tenne a Washington un discorso sulla «politica estera americana e le minacce del terrorismo» incredibilmente profetico e attuale. L'allora Presidente degli Stati Uniti denunciò il rischio del sorgere di «un'utopia politica violenta in tutto il Medio Oriente», che i terroristi «chiamano califfato, dove tutto sarebbe governato secondo la loro ideologia odiosa». Bush ricordò le parole di Osama bin Laden quando definì l'attacco dell'11 settembre «un grande passo verso l'unità dei musulmani e la costruzione del giusto califfato».

Il presidente più denigrato in Occidente ed oggi forse tra i più rimpianti, spiegò con chiarezza la strategia di conquista degli islamisti: il califfato si configurerà come «un impero islamico totalitario che comprende tutte le terre musulmane attuali e quelle ex islamiche, esteso dall'Europa al Nord Africa, al Medio Oriente e al Sud-Est asiatico»; e ricordando la frase di Al Zawahiri (allora vice di bin Laden) «tutto il mondo è un campo aperto per noi», spiegò che «Al Qaeda intende imporre il suo dominio in ogni terra dove aveva una casa per l'Islam: dalla Spagna all'Iraq». Il riferimento al califfato anticipa di otto anni l'evoluzione dell'Isis e le strategie di conquista dei jihadisti in tutto il Medio Oriente.

Bush tenne il discorso cinque anni dopo la ferita dell'11 settembre: l'America era ancora impegnata in Afghanistan e in Iraq con i suoi alleati; Saddam Hussein era stato deposto (sarebbe stato giustiziato il 30 dicembre successivo) e i fallimenti nella gestione del dopoguerra erano lontani a venire. L'Iraq aveva avuto elezioni libere, una sua Costituzione e sembrava avviarsi verso uno sviluppo democratico; gli occidentali erano ancora a caccia delle famose armi chimiche il cui bluff era lontano dall'essere scoperto. L'Isis non era comparso sulla scena dell'orrore internazionale e solo Al Qaeda (spesso indecifrabile organizzazione del terrore) era l'incubo dell'Occidente. L'America dava ancora la caccia a Bin Laden con la stessa determinazione con cui il capitano Achab inseguì Moby Dick.

Bush spiegò nel suo discorso la natura e gli obiettivi del terrorismo integralista: «Rifare l'intero mondo musulmano a propria immagine. Nel perseguimento dei loro obiettivi questi estremisti dicono che non può esserci alcun compromesso o dialogo con quelli che chiamano infedeli, una categoria che comprende l'America, le nazioni libere del mondo, gli ebrei e tutti i musulmani che rifiutano la loro visione estrema dell'Islam».

Ma è soprattutto sull'Iraq che Bush concentrò il suo intervento: «I terroristi hanno chiarito che il fronte più importante nella loro lotta contro l'America è l'Iraq, la nazione che bin Laden ha eletto a guida del califfato». Lì si gioca la «terza guerra mondiale» perché «per Al Qaeda, l'Iraq non è una distrazione dalla guerra contro l'America; ma è il principale campo di battaglia dove si deciderà l'esito di questa lotta».

Bush dimostra di aver capito chiaramente che la strategia jihadista si muoverà per quattro fasi: la prima, espellere gli americani dall'Iraq. La seconda, istituire un califfato. La terza, estendere «l'onda jihad» ai Paesi laici confinanti. La quarta, scatenare lo scontro su Israele. Nel 2011, John Brennan, non ancora a capo della Cia ma già consigliere di Obama per le politiche di antiterrorismo, dichiarò che «quella del califfato è un'idea assurda» e gli Usa non organizzeranno «le politiche antiterrorismo contro un delirio irresponsabile che non accadrà mai». Fu così che Obama iniziò il disimpegno in tutti i teatri mediorientali, affidandosi alla «politica dei droni» molto efficace per giustificare un premio Nobel per la pace. Le fallimentari strategie applicate dalla Primavera araba in poi con il disastro libico, gli errori in Siria, l'incapacità di gestione in Egitto, hanno permesso all'integralismo islamico di tornare ad essere l'emergenza internazionale e al «califfato» dell'Isis di diventare un pericolo globale.

Bush aveva ragione, Obama ha avuto torto e ora sta provando a correre ai ripari;

e così, la sinistra americana che ha vinto le elezioni promettendo il ritiro repentino dall'Iraq, per rivincerle deve provare a rientrare in Iraq. Anche in politica estera esiste la legge del contrappasso.

@GiampaoloRossi

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