Alessandro Profumo prova a difendersi dagli attacchi ricevuti sul caso-Libia: «Hanno scelto in autonomia di aumentare le loro quote, non sono stato io a sollecitarli», ha detto ieri il ceo di Unicredit in riferimento all’ingresso con il 2% nel capitale della banca milanese da parte della Lybian Investment Authority. Un’operazione che si è trasformata in un incidente diplomatico perché non era stata preventivamente comunicata né ai soci, né ai consiglieri, né alle Authority. Non che formalmente dovesse esserlo. Ma l’ingresso della Lia con il 2%, sommato alla quota del 5% già in portafoglio alla Banca Centrale di Tripoli, aveva un effetto così dirompente da giustificare qualche informazione in più da parte di Profumo, che in ogni caso ne era venuto a conoscenza. Così se la sono presa un po’ tutti: le fondazioni azioniste hanno sospettato Profumo di tramare in privato per diluire il loro peso specifico nel capitale; Bankitalia ha chiesto formalmente quali conseguenze ciò comportasse per la governance della banca; il presidente Dieter Rampl si è sentito amareggiato dall’aver appreso le cose a fatto compiuto. Così ieri Profumo, a due giorni dal comitato governance che domani dovrà esaminare la situazione e rispondere ai quesiti di Bankitalia, ha cercato di sgombrare il campo dal sospetto di una sua manovra dietro le quinte, nell’intento di stemperare i toni prima del faccia a faccia con i membri del comitato, tra i quali ci sono sia Rampl, sia il vicepresidente Fabrizio Palenzona: i due che, sia al momento dell’ultima ricapitalizzazione di un anno fa, sia quando a primavera ci fu lo scontro duro con le fondazioni sulla Banca Unica e la richiesta di un country manager, si sono maggiormente spesi per mediare tra le parti. E che ora, dopo la poco lineare vicenda libica, si sono irritati non poco. Ma nel comitato di domani Profumo misurerà anche le reazioni dei vicepresidenti Luigi Castelletti (Cariverona) e Vincenzo Calandra (Carimonte), e dei consiglieri Luigi Maramotti e Francesco Giacomin. Il chiarimento di ieri basterà a Profumo? L’impressione che si raccoglie tra alcuni grandi azionisti è di perplessità. Anche perché i mal di pancia restano legati a due questioni di fondo: l’andamento del titolo e le performance di gestione. Mentre la crescente componente leghista nelle fondazioni azioniste non può sopportare l’idea che la banca venga utilizzata per scopi diversi da quelli dell’erogazione del credito sui territori. La vicenda libica non ha fatto che peggiorare questi malumori. Per quanto riguarda le dinamiche interne al cda, lo stesso Profumo, interrogato ieri sui rapporti con Rampl, avrebbe sorriso e sdrammatizzato, rispondendo però: «Chiedetelo a lui». Tornando al Profumo di ieri ( che ha parlato in un incontro riservato alla stampa estera), il ceo ha anche sottolineato che gli azionisti di Tripoli si considerano soggetti «indipendenti », nonostante ancora non si abbiano «elementi legali» per determinarlo.
In tal senso la Consob ha avviato accertamenti per capire se i due soggetti sono investitori distinti (e come tali potebbero votare per l’intero 7%, viceversa, per statuto c’è il limite del 5% a ogni singolo soggetto) ma la risposta non è attesa in tempi brevi. Al momento, oltre al comitato di domani, non sembrano in agenda cda straordinari prima di quello già fissato per il 30 settembre,anche perché Profumo sarà assente dall’Italia durante la prossima settimana.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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